Gli inglesi hanno scelto: Brexit. Ogni altro punto programmatico non aveva la stessa importanza, la stessa radicalità. Il plebiscito per Boris Jhonson, neoliberista, è stato reso possibile perché questo si è fatto portatore delle istanze anti-europeiste, dando voce alla maggioranza degli inglesi che avevano già votato ai tempi per il “leave”. La sua vittoria non è di per sé, ma assolutamente positiva sarà – se sarà – la Brexit. Ovviamente gli interessi tutelati dai conservatori non sono quelli del popolo, e già si annunciano privatizzazioni ed altre misure antidemocratiche, ma da oggi l’Unione Europea, nemico principale, è più debole. Altre élite, periferiche, saranno indubbiamente più forti, ma il colpo assestato alla culla del neoliberismo moderno non può che essere salutato come positivo. Ora sta alle forze socialiste inglesi, perlomeno quelle non distrutte dalla mentalità “liberal”, portare avanti un’opposizione che sappia intercettare gli inglesi pro-brexit, e sfruttare le contraddizioni in seno al capitalismo inglese a favore delle masse britanniche. L’importante è non cadere nello stesso errore di Corbyn: un programma il suo assolutamente giusto, ma che peccava del silenzio sopra il tema ora principale: l’uscita dall’Unione. Probabilmente lui lo sapeva che le sue riforme sarebbero state impossibili nel contesto comunitario, ma per la paura di allontanare la sinistra moderata e il “ceto medio riflessivo” delle grandi città ha consegnato le masse lavoratrici ai conservatori, non certo armati di buone intenzioni nei loro confronti.