di Eros R.F.

Negli ultimi giorni possiamo dire che ci sono stati diversi risvolti relativamente importanti in America Latina: in Nicaragua, Bolivia, Colombia, Venezuela e Guyana.
Partiamo dunque con ordine.

Nicaragua

I documenti riguardanti il Nicaragua che sono emersi dovrebbero far inorridire ogni cittadino e Paese che si dichiari democratico. Eppure, sembra che siano proprio questi, i liberali occidentali che più di tutti si spacciano per paladini della democrazia e della libertà, ad ignorare tutto ciò che testimonia la natura imperiale e dispotica del regime nordamericano, arrivando a supportare diplomaticamente perfino i golpe fascisti nei Paesi del terzo mondo.
Il presidente nicaraguense Daniel Ortega non è che l’ultimo di una sfilza di figure governative elette democraticamente apertamente anti-imperialiste e, dunque, scomode al regime nordatlantico. Le politiche volte a salvaguardare l’interesse del Popolo del Nicaragua non possono che essere in conflitto con gli interessi volti al profitto delle multinazionali americane
ed europee.
Il documento trapelato, che allegheremo più avanti, afferma che l’”Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale” (USAID) cercherebbe di provocare una crisi politica e una destabilizzazione nel Paese.
“Il programma “Sin Fronteras”, trasmesso da Radio La Primerísima, ha rivelato un documento nel quale si dettaglia che il nuovo tentativo di colpo di Stato parte dalla premessa che il presidente Daniel Ortega vincerà le elezioni nel 2021. […]
Il rapporto di 18 pagine è una “specie di punto di riferimento per contrattare un’impresa che s’incarichi del piano sovversivo e interventista”, ha indicato l’emittente.
Il documento pianifica tre scenari: in primo luogo, che l’impresa assunta crei una crisi con l’aiuto di quella che viene chiamata la società civile ed inoltre che il presidente Ortega rinunci al proprio ruolo di presidente.
Secondariamente, che si realizzino elezioni anticipate provocate da una crisi che loro stessi provocherebbero e che vinca l’opposizione.
Il terzo scenario pianificherebbe che il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) vinca le elezioni con risultati che siano o meno riconosciuti dal popolo nicaraguense e dalla comunità internazionale.
Il documento sostiene che quando l’opposizione prenderà il potere si perseguiteranno politicamente i militanti sandinisti e si dissolveranno la Polizia Nazionale e l’Esercito del Nicaragua.
Abbiamo riportato una notizia del quotidiano cubano “Granma” del 3 agosto [articolo del Granma in questione], che riferisce ciò che ha riportato a sua volta l’emittente “RT” del Paese centroamericano il 31 luglio.
Notizia poi riportata di seguito anche dalla testata digitale “The Greyzone”, che tratta tutte le notizie riguardanti le politiche imperialiste degli Stati uniti:
“Il documento descrive in dettaglio la creazione di un nuovo ‘ordine di compiti’”, chiamato Responsive Assistance in Nicaragua (RAIN), e il suo piano per ‘La transizione del Nicaragua
alla democrazia’”, solito eufemismo per dire, in parole più semplici, “golpe”. Grayzone fa inoltre notare che in un documento composto da una decina di pagine la parola “transizione” viene ripetuta addirittura 102 volte.
Non serve neanche specificare “che Washington vuole installare un’amministrazione neoliberista che privatizzerà l’economia, imporrà riforme neoliberali ed eliminerà tutte le istituzioni di qualsiasi traccia del movimento sandinista di sinistra”.
Il regime di cambio di regime USAID afferma apertamente che uno dei suoi principali “obiettivi di missione” è per il Nicaragua la “transizione verso un’economia di mercato basata sulle regole”, sulla “protezione dei diritti di proprietà privata”.
Può già inorridire abbastanza, ma è fin troppo poco per gli USA; il documento, infatti, “si conclude invocando il futuro regime installato dagli USA in Nicaragua per: “ricostruire le istituzioni”,”ristabilire” i militari e la polizia, “smantellare le istituzioni parallele che sostengono il Fronte sandinista” e perseguitare i leader dell’FSLN attraverso “misure transitorie di giustizia”. In altre parole, un’approfondita eliminazione del movimento sandinista per impedirgli di tornare al potere.” [articolo di The Grayzone in questione]

È già stato fatto in Bolivia con la presidenza eletta democraticamente di Evo Morales, ovviamente nel silenzio totale dei media, nonostante le molteplici morti causate dal golpe militare portato avanti dagli Stati Uniti; sarà forse la volta del Nicaragua? E stavolta gli alleati di Washington diranno qualcosa, in quanto “paladini della democrazia”? Ovviamente no, e già il fatto che non sia stata riportata questa notizia da nessuna parte nei media mainstream del regime occidentale, né tantomeno da figure politiche dei vari Paesi, testimonia il fatto che l’Occidente non solo se ne freghi dei golpe armati ed architettati dai propri alleati nei Paesi del terzo mondo, ma anzi festeggi e si prepari a sguazzare nella propria montagna di denaro sporco di sangue, una volta instaurato il regime neoliberista nel Paese incatenato. Non mancano infatti le sanzioni portate avanti dall’Unione Europa (formalmente) contro le figure politiche del Nicaragua – accusati di malgestione del proprio Paese: “niente elezioni”, quando invece ce ne sono, “repressione contro i dissidenti”, quando invece non hanno tribunali speciali a differenza di diversi Paesi europei –, ma che, nei fatti, sono sanzioni che mirano e colpiscono non “le figure politiche”, ma tutti i cittadini. Si dovrebbe già sapere infatti che ovunque le sanzioni siano state attuate si sono rivelate misure criminali: medicinali mancanti a causa dei blocchi economici nelle importazioni, materiali per l’industria e l’edilizia insufficienti e, purtroppo, spesso anche carenza di cibo [articolo dell’Antidiplomatico a riguardo].
Tornando infine al documento prima citato, sarà anche certamente contestabile la natura di questo, ma vogliamo allora parlare del documento palesemente falso sparso in tutto il mondo che cercava di provare miseramente il finanziamento del Movimento 5 Stelle da parte del “regime chavista del Venezuela”?. Appena il medesimo si è rivelato falso, nessun notiziario ha ammesso il proprio errore.
Alleghiamo qui di seguito il pdf del documento trapelato:

Bolivia

Il Popolo boliviano si è risvegliato, ed è tornato in piazza a protestare contro il regime golpista di Añez, fascista e nostalgica dei conquistadores, messa sulla propria poltrona sporca di sangue direttamente dagli Stati Uniti – e ovviamente supportata dall’Unione Europea e da altri fantocci nordamericani, quali il Brasile, con cui ha già da subito stretto rapporti.
Dopo aver promesso le elezioni, spacciandosi per una eroina democratica che ha spodestato un tirannico dittatore, le posticipa e poi le annulla, per poi continuare a reprimere, oltre che economicamente con le varie riforme liberiste, fisicamente le folle manifestanti o scioperanti.
Ed è proprio lo sciopero che sta dando un duro colpo al regime di Añez. I minatori boliviani hanno infatti proclamato un ultimatum di 72 ore il 31 luglio, chiedendo la conferma delle elezioni per il 6 settembre e l’ammissione del partito MAS, bandito dal governo fascista una volta salito al potere nel novembre scorso. [video: https://twitter.com/Yader30701008/status/1289038044650180608?s=19]
Le ore sono passate senza avere risultati da parte del governo, ed è quindi in atto lo sciopero generale. Migliaia di indigeni hanno deciso di incrociare le braccia e scendere in piazza, sfidando le multinazionali che hanno tempestivamente affondato i propri artigli sul Paese andino, non appena fu concluso il golpe.

Esempio della sfacciataggine padronale è il commento strafottente dell’imprenditore Elon Musk, che ha esplicitamente detto: “Facciamo colpi di stato dove vogliamo, fattene una ragione”. Il tweet è stato cancellato dopo qualche giorno, ma cercando le testuali parole riportate nell’istantanea potete facilmente reperire altre prove attraverso i motori di ricerca. [alleghiamo inoltre il link di un archivio di tweet vari: https://archive.is/mIIRM].
In un tweet seguente dirà che in verità scherzava, e che il litio non lo prende dalla Bolivia ma dall’Australia. I fatti testimoniano il contrario. Non solo a seguito del golpe le azioni della Tesla motors sono saltate alle stelle; con Evo Morales la multinazionale tedesca ACISA che forniva litio – materiale indispensabile per le batterie – all’azienda di Musk fu cacciata;
appena fu fatto il golpe da parte di Añez ecco che si sono ristabiliti gli accordi, nel giro assurdo di circa 1 giorno, portando quindi all’annuncio della costruzione di una nuova “gigafactory” – così le chiama Musk le fabbriche di batteria in litio che possiede – proprio in Germania, praticamente in collaborazione con l’azienda sopra accennata.
Il patron della Tesla e di SpaceX non solo ha aiutato ad attuare il golpe in Bolivia provocando centinaia di morti per via della forza repressiva dei militari (non abbiamo le prove concrete sul finanziamento, ma basti pensare che aveva già pronte le scartoffie per iniziare a costruire
la fabbrica di batterie in Germania appena fu compiuto il colpo di stato), non solo sfrutta i minatori indigeni della Bolivia per ricavare litio a basso costo; Musk, con le sue varie aziende, è, insieme ad altre multinazionali della Silicon valley, responsabile del neocolonialismo in Congo, dove paramilitari danno alle fiamme interi villaggi pur di costringere la popolazione autoctona a lavorare nelle miniere di cobalto, materiale tra l’altro cancerogeno [articolo TheTimes a riguardo].

È dunque un sollievo sapere che il Popolo boliviano non si è arreso: dopo 10 mesi di regime fascista si è ormai stufi delle continue prese in giro del governo sulle elezioni perennemente posticipate, sulle repressioni militaresche nelle strade, utilizzando anche lacrimogeni ed armi in teoria illegali secondo gli accordi internazionali; si è stufi delle morti per via di queste repressioni, delle morti e dei malati per lo sfruttamento, si è stufi dei deceduti per via del Covid, causate dalla malgestione del governo che è stato capace, nel giro di poco meno di un anno, di smantellare gran parte dello stato sociale creato con la presidenza di Morales e del partito MAS in ben 13 anni.
Ci teniamo a comunicare la nostra posizione sulle relative cause del successo da parte dell’impero nordamericano, che sono facilmente riscontrabili nella mancata formazione di un esercito popolare. “Fortunatamente” Evo ha ammesso le proprie colpe e ha affermato che nel caso il MAS risalisse a potere – probabilmente con il candidato Luis Arce o col suo braccio destro Choquehuanca – dovrà necessariamente istituire una forza armata popolare simile al modello venezuelano, che ha già dimostrato di essere un modello valido dopo la miriade di
tentativi di golpe falliti da parte degli Stati Uniti.
Meglio tardi che mai.

Colombia, Venezuela e Guyana

Dopo il collasso sanitario e l’umiliante richiesta di aiuto a Cuba – visto che l’alleato statunitense non si è fatto vivo –, in Colombia sembra che tutto stia continuando a funzionare come prima. Le FARC continuano a lottare contro il governo neoliberista e ci giunge la triste notizia, completamente ignorata qui in Italia, che è morto il collaboratore dell’ONU Mario Paciolla. Il 33enne italiano è stato ucciso a circa 650 km da Bogotà, dove era in missione per la verifica degli accordi di pace tra le FARC e le forze governative di Andres Pastrana presso le comunità rurali. Ebbene uno o più sicari hanno ucciso Paciolla a metà luglio, poco prima del ritorno in Patria previsto per il 20 dello stesso mese. Il giovane pacifista non è il primo, e non sarà sicuramente l’ultimo, della sfilza di individui “scomodi” chirurgicamente eliminati uno ad uno da parte, ovviamente, del governo e dei vari privati – multinazionali e coinvolti nell’enorme giro di droga che c’è in Colombia – che entrano in gioco in questa lotta contro le forze popolari. Potrà infatti stupire che, in media, solo a gennaio è stato ucciso un attivista ogni 27 ore: tutti attivisti che lottano per il sociale o per l’ambiente, temi centrali in quel Continente così verde e così massacrato [https://vociglobali.it/2020/02/24/colombia-dove-la-nuova-guerra-e-contro-i-leader-sociali/].

Il Venezuela, come sempre, è sotto attacco da parte dell’Occidente. Di fatto sotto embargo, in tempo di Covid è stato costretto a gestire la situazione da solo – ed è da dire che l’ha gestita bene – insieme a Cuba e l’”asse del male” (Iran, Russia e Cina) che hanno portato i relativi aiuti necessari al Paese bolivariano.
Il “despota Maduro” ha invitato osservatori internazionali per monitorare le elezioni del 6 dicembre, in modo tale da scrollarsi di dosso le scontate e puntuali accuse da parte degli USA e delle loro sgualdrine occidentali, con le consequenziali sanzioni o, peggio ancora, tentati colpi di stato armati. Il solito cliché insomma. Quest’anno, in poche parole, se gli Stati Uniti vogliono continuare a sputare denunce infondate sul Venezuela e il chavismo, saranno costretti a scontrarsi con l’ONU; non escludiamo ovviamente che l’Aquila spennata sia così sfacciata da dire che gli osservatori internazionali siano “corrotti dal comunismo filo-cinese”, o qualcosa del genere.
Gli Stati Uniti stanno ormai in forte crisi: sono una portaerei che sta prendendo acqua da tutte le parti e, seppur possente e grossa, è destinata ad affondare. Ed ecco quindi che ci appare meno surreale il risvolto che sta avendo al suo interno, dove i democratici accusano i repubblicani di non essere stati abbastanza bravi nel fare i golpe [articolo dell’Antidiplomatico a riguardo]. E Guaidò? Il povero burattino? Gli hanno tagliato i fili? Sembra che la sua reputazione si sia così tanto sporcata che ha fatto fare la brutta figura all’Occidente interno, rendendosi ridicolo prima con le sue foto con i narcotrafficanti [articolo Adnkronos a riguardo] – accusando paradossalmente Maduro di favorire il commercio della droga e il traffico di questo verso gli Stati Uniti –, poi cercando di scavalcare come un pagliaccio sbronzo i cancelli per entrare in Parlamento – in un Paese liberale sarebbe stato scortato in un istituto di cura.

Giunge, infine, l’eccellente notizia della vittoria del Partito Progressista del Popolo (PPP) che, nonostante gli ovvi tentativi di brogli da parte della coalizione di destra filo-americana con a capo un ex-militare conseratore e liberista, con tanto di riconteggi voluti dalla stessa coalizione, è riuscito a sbaragliare con un 50,59%. Insomma, un partito socialista che ha battuto non una destra, ma una intera coalizione di queste. Saranno altrettanto scontate le misure che verranno prese nei prossimi mesi dagli Stati Uniti: qualche protesta nella speranza di innescare una Rivoluzione colorata e qualche sanzione qua e là, dicendo che il governo non sia stato eletto democraticamente o che ci siano dietro i malvagi Maduro, lo spettro di Chavez che tormenta lo spirito della libertà nordamericana e, forse, Xi Jinping o i troll russi.
Il nuovo presidente è dunque Irfaan Ali, nato nel 1980 e laureato in pianificazione urbana, dichiaratamente comunista. Ha affermato più volte che i suoi punti di riferimento sono Cuba e il Venezuela. Va tuttavia aperta una breve parentesi di nuovo su quest’ultimo Paese. È risaputo infatti che Chavez ha da sempre considerato la Guyana “Esequiba” come parte della Repubblica venezuelana ed ha quindi da sempre sperato che un giorno questa ritornasse a far parte del Paese. Non a caso, nel 2006 fu proposta da Chavez e poi aggiunta una ottava stella nella bandiera di Miranda, che sta appunto a rappresentare l’ottava regione, la Guyana.
Questa rivendicazione non è infondata, in quanto prima dell’acquisto da parte degli inglesi nel 1840, la Guyana faceva parte sin dalla propria indipendenza, ottenuta nel 1824, del Venezuela liberato da Bolivar.
Non ci resta dunque che vedere come si svilupperanno i rapporti tra i due Paesi: sarà forse ancora troppo presto affinché la Guyana, con la metà della popolazione a quanto pare socialista, si unisca al Venezuela? Verrà senza dubbio usata come legittimazione per un attacco politico o addirittura militare da parte della NATO, che vedrà nel Venezuela un Paese espansionista. È dunque meglio, per ora, essere forse un po’ prudenti e limitarsi ad intrattenere buoni rapporti e un forte sostegno tra i due Paesi fratelli.
Con la speranza che un giorno, magari non troppo lontano, la Gran Repubblica si unisca di nuovo e che il sogno del Libertador finalmente si realizzi.

Il neopresidente Irfaan Ali