È ormai vicino il referendum per il taglio dei parlamentari. Non possiamo che esporre la nostra più assoluta avversione verso la scelta del “sì”, rimanendo tuttavia critici verso questo modello di democrazia borghese a cui siamo costretti, per ora, a sottometterci.Votiamo no, ma cosa difendiamo?Il rifiuto alla riforma costituzionale presentata dal fronte trasversale liberal-europeista non deve essere scambiato per un’apologia dello stato di cose attuali, che si caratterizza comunque come lontano da qualsiasi ideale democratico di partecipazione popolare. Il futuro della democrazia è a rischio, verissimo, ma occorre ben definire ciò che si vuole intendere con questo enunciato: non si tratta della “democrazia borghese” che è a rischio, il restringimento del parlamento è anzi sintomo dell’avanzamento di questo, ma si tratta dell’effettivo potere politico delle masse popolari ad essere indebolito. Il parlamento attuale, caratterizzato da alte soglie di sbarramento e dalla privazione dei contributi pubblici alle formazioni politiche, è già di per sé un ambiente chiuso quasi ermeticamente alle forze popolari, un inaspriemento di questa condizione non può che portare ad un peggioramento dello stato democratico non unicamente da un punto di vista delle formalità, ma anche sostanziale. Esecutivi sempre più forti, avezzi ad imporsi a colpi di decreto e attorniati da stuoli di tecnici e consulenti privati, con un parlamento ridotto ad ente quasi puramente consultivo: è questo il disegno che si prospetta nella mente degli autori di questa riforma. La nostra opposizione non può che esser chiara e radicale. Noi siamo per la tendenza opposta, ossia per la costruzione e l’ampliamento degli spazi di partecipazione popolare alla cosa pubblica, per un potere realemente in mano al popolo. Il rifiuto della riforma costituzionale è il rifiuto della tendenza di cui si fa portatrice, non l’accettazione dello status quo attuale.Premesso questo, esporremo qui i motivi della nostra netta posizione, sperando di poter chiarire l’idea a chi è ancora confuso – probabilmente per via della parziale o cattiva informazione che gira sui media mainstream – sulla questione del taglio dei parlamentari.Possiamo riassumere il tutto in 5 punti:

•il taglio alla rappresentanza non fa che servire gli interessi della stessa casta tanto avversa a chi vi invita a votare “sì”;

•non è vero che il taglio della rappresentanza verrà fatto con la mera funzione del “risparmio”;

•l’Italia sarà il secondo Paese meno rappresentato in Europa;

•non è vero che “taglio dei parlamentari” vuol dire “taglio dell’incompetenza”;

•non è vero che si snellisce la burocrazia.

Partiamo dunque con ordine:

1) Il taglio alla rappresentanza non fa che servire gli interessi della stessa casta tanto avversa a chi vi invita a votare “sì”:

Sarà forse già noto a diversi – anche perché l’abbiamo evidenziato più volte – il fatto che il taglio dei parlamentari faceva parte del “Piano di Rinascita” della loggia P2 di Licio Gelli, ma è più che giusto ribadire il punto.La P2 è stata al centro dei riflettori nel secolo scorso, a causa del suo scandaloso piano di distruzione della democrazia della Repubblica Italiana. Fa stupire, anzi, il fatto che la P2 sia caduta in questo scandalo, visto che una fetta del “settore giudiziario” era anch’essa parte della loggia. E i risultati infatti si vedono: nonostante il gran polverone che si alzò nel 1981 non se ne sente quasi più parlare. Riparlare della P2 (ovviamente non superficialmente, ma approfondendo i punti del suo “Piano di Rinascita”) sarebbe alquanto scomodo, sia per i politici, sia che per i media stessi, in quanto anch’essi “fanno parte” del piano.Se lo avete già letto in precedenza, vi consigliamo di darci nuovamente un’occhiata, in quanto potrebbe farvi riflettere sulle prese di posizione di diversi partiti, anche quelli che vengono considerati “alternativi” ma che invece non fanno nient’altro che compiere punti diversi del piano anche per far in modo di realizzarli tutti, indifferentemente da chi sta al Governo.Ma tornando al “succo”: perché, vi chiederete voi, “tagliare la casta” dovrebbe esser voluto dalla casta stessa?Potrebbe apparire paradossale nell’apparenza, ma è tutt’altro. Non ci stanchiamo di ripetere che i partiti che fanno parte del parlamento sono di natura e di appartenenza borghese; tutti sono di fatto liberali e liberisti e questo rende tutta la marmaglia di partiti, che all’apparenza sembrano essere avversi l’uno all’altro, un unico partito liberale. Insomma, l’unica cosa che li fa differire è la posizione che hanno sul progressismo e sul conservatorismo; tutto il resto è apparenza e i temi economici sono analizzati con uno stesso punto di vista, ma con obiettivi diversi, per il semplice fatto che sono finanziati prevalentemente da privati differenti e, dunque con interessi diversi. Per farla breve e chiudere la piccola parentesi: se un partito viene finanziato da delle imprese agricole vedrà di buon occhio l’immigrazione, in modo tale da far abbassare i costi del lavoro; se un partito viene finanziato da qualche colosso della sanità privata sarà a favore della privatizzazione, appunto, della sanità, e un partito che non verrà finanziato da questi colossi non avrà problemi nell’affermare pubblicamente di essere contro la sanità privata e questo risulterà loro in un maggior bacino elettorale. Insomma, i partiti parlamentari sono pedine di una scacchiera ben più grande, che è il mercato, e noi siamo pedine ancor più misere che votano ed eleggono rappresentanti non dei cittadini, ma dei privati, dei borghesi.Tornando a noi, il taglio della rappresentanza è dunque utile alla casta stessa. La casta non è il parlamento, ma chi finanzia i partiti che fanno parte di esso: è questo il dato che rende più chiara la situazione. Se ci sono meno persone che stanno nel parlamento, vuol dire che costerà meno ai privati mantenere i membri dei partiti. È evidente che, oltre allo stipendio pubblico che percepiscono i parlamentari, c’è un’entrata che passa per il partito (e quindi dai privati), sennò perché mai farebbero gli interessi di un privato?Per farla breve, lo diciamo volgarmente: meno persone al parlamento vuol dire meno soldi da spendere per corrompere, ma ancor più corruzione, proprio perché “a basso prezzo”.

2) Non è vero che il taglio della rappresentanza verrà fatto con la mera funzione del “risparmio”:

Abbiamo già detto che nel taglio della rappresentanza il risparmio c’è, ma da parte dei privati che, de facto, corrompono (in maniera legale) il partito; il risparmio da parte dei cittadini è pressoché nullo, soprattutto in proporzione ad altri tagli, di cui parleremo più avanti, che invece sarebbero più che legittimi.I motivi di tale affermazione ve li abbiamo più o meno ben esposti nel punto precedente, ma è importante analizzare i dati reali per trovare ulteriore conferma alla nostra tesi.Facciamo dunque dei rapidi calcoli utilizzando i dati più prossimi che abbiamo, quelli dell’anno 2019: ad ogni senatore è garantito uno stipendio mensile di 14.634,89 euro, mentre ogni deputato ha diritto a 13.971,35 euro – entrambe le cifre sono garantite per diritto ad ogni parlamentare, salvo, dunque, eventuali indennità che andranno ad aumentare ulteriormente la cifra che percepiscono individualmente.In Italia, ci sono 630 deputati e 315 senatori, più 5 senatori a vita. Da questi semplici dati, facendo delle elementari operazioni [1], otterremo la cifra totale che pagano i cittadini italiani per “mantenere” i parlamentari all’anno: 161,8 milioni. Dividendo per 60,36 milioni [popolazione italiana] noteremo che ogni cittadino paga 2,68 euro l’anno. La chiamano la “spesa per la democrazia”, anche se potremmo non essere d’accordo. Tralasciando le varie critiche che riserbiamo relative alla frase appena detta, notiamo che è effettivamente vero ciò che viene spesso detto: tagliando la metà dei parlamentari, ogni cittadino risparmierà 1 euro e 34 centesimi [2,68/2]. Ma il punto che vorremmo centrare non è proprio questo. Lo stipendio a cui hanno diritto i parlamentari è a dir poco scandaloso, e non è che se lo dice (solo retoricamente) il movimento 5 Stelle noi, che siamo veramente di sinistra, dovremmo negarlo e dissociarci dalla denuncia. Ignorando l’opportunismo grillino, noi prendiamo come riferimento, in questo caso, gli insegnamenti che si dovrebbero trarre dalla Commune di Parigi; come evidenzia Marx e “ripesca” poi Lenin, è da notare un provvedimento di tale governo socialista parigino: “La soppressione di tutte le indennità di rappresentanza, la soppressione dei privilegi pecuniari dei funzionari, la riduzione degli stipendi assegnati a tutti i funzionari dello Stato al livello di “salari da operai”.” Il perché di ciò viene ben esposto da Marx e Lenin, quindi non ci dilungheremo qui a spiegarlo. È chiaro che, visto che l’Occidente ha raggiunto uno stadio di sviluppo tale che i settori più occupati siano il terziario e quello incentrato prevalentemente sui servizi, lo stipendio di riferimento non potrà più esser quello dell'”operaio”, ma del lavoratore e del cittadino in generale. In Italia, lo stipendio medio di un lavoratore (“in bianco”) è di 1.550 euro mensili; prendiamo dunque come riferimento questa cifra e poniamola come stipendio mensile che dovrebbe avere ogni parlamentare. Noi, da Socialisti, siamo fortemente a favore della riduzione dello stipendio dei parlamentari, che è ben diverso dal taglio dei parlamentari stessi. Facendo rapidi calcoli [2] con i dati precedenti otterremo questi risultati: Dei 161,8 milioni ne verranno risparmiati ben 144,1 milioni: la spesa totale annuale sarà di 17,7 milioni, e cioè di 29 centesimi a persona all’anno. Altro che “1,34 euro”; in questo modo abbiamo risparmiato 2,39 euro, sottolineiamo a persona. In questo modo, risparmieremmo il 89,2% , invece del 50%, e avremmo lo stesso numero di rappresentanza, acquisendo quindi più eguaglianza e mantenendo almeno quella minima “democrazia” che siamo costretti ad avere con un parlamentarismo borghese. Non possiamo tuttavia che proporre altri metodi per “risparmiare”, visto che i nostri cari partiti castali non ci sono ancora arrivati (forse a causa dei neuroni annebbiati dal denaro). Nel 2020, le spese militari totali saranno di 26 miliardi di euro: l’1% – sottolineiamo, l’1% – di questa assurda spesa criminale equivale a 260 milioni. Altro che 80,9 milioni risparmiati col taglio dei parlamentari. Oltre a questa ipocrisia nelle proporzioni, non possiamo che notare come, appunto, le spese che facciamo “per la democrazia” siano minime, quasi nulle rispetto ai fondi pubblici che vanno invece verso spese alquanto ambigue. Insomma, vogliamo spendere soldi per tagliare la democrazia in altri Paesi (insieme ai nostri “cari alleati” della Nato) e allo stesso tempo dire di voler risparmiare tagliando perfino la democrazia a casa nostra?

3) L’Italia sarà il secondo Paese meno rappresentato in Europa:

Viene spesso detto che il numero dei parlamentari Italiani sia sproporzionato rispetto al numero dei Cittadini; innanzitutto viene sempre preso come campione il Texas o comunque gli Stati Uniti, spacciato ovviamente per esempio e baluardo di democrazia. A volte viene addirittura presa in considerazione l’estensione dello Stato e non il numero della Popolazione. Si dice che l’Italia abbia troppi politici, troppi parlamentari, e quindi troppi costi per il Popolo; e invece di render la politica un qualcosa di attivo per i cittadini e smetterla di trattarlo come un lavoro (con tanto di indennità, vitalizi e pensioni d’oro varie), lo si rende ancor più impopolare, élitario ed oligarchico. La verità è che è vero che l’Italia, in rapporto alla quantità della Popolazione, abbia più parlamentari rispetto agli USA [che hanno 500 parlamentari con 300 milioni di abitanti, e cioè 1 parlamentare ogni circa 600.000 abitanti, sicuramente poco democratico], ma abbiamo una quantità di politici in rapporto agli abitanti piuttosto simile agli altri Paesi europei. È dunque vero che l’Italia abbia più parlamentari rispetto a tanti altri Paesi, ma il numero che va analizzato non è questo, ma il tasso di rappresentatività. Tagliando i nostri parlamentati addirittura del 50% come proposto dal referendum, arriveremmo ad avere il minor tasso di parlamentari di tutto il continente europeo. Basti vedere i due grafici qui sotto, presi per campione i Paesi europei. Il primo, riguardante il numero totale dei parlamentari (prima e dopo il voluto “taglio”):

Il secondo, da prendere più in considerazione, raffigura il rapporto tra il numero dei cittadini e il numero dei parlamentari (anche questo prima e dopo il “taglio”); il numero sta a raffigurare ogni quanti cittadini esiste un parlamentare. Quelli a destra, quindi, hanno più politici, quelli a sinistra ne hanno di meno:

Insomma, quando vengono fatte comparazioni campate per aria tra Italia e Texas o Italia e Regno Unito, si sta cercando di prendere in giro i Cittadini. Più parlamentari ci sono e meglio è: più parlamentari vuol dire più rappresentanti; e capite bene, parlando di estremi, quanta differenza ci sia tra una sola persona al parlamento e tutto il Popolo. Quando il numero dei parlamentari tende ad avvicinarsi al singolo, ci si avvicina all’oligarchia e quando il numero tende ad espandersi, ci si avvicina alla democrazia.

4) Non è vero che “taglio dei parlamentari” vuole dire “taglio dell’incompetenza”:

È ormai comune sentir dire da parte di molti, chi ingenuamente e chi maliziosamente, che tagliando il numero di parlamentari avremmo “meno incompetenti”: “meno soggetti come Antonio Razzi”, “meno pagliacci come la Bellanova” (che tra l’altro sta al governo) ecc. ecc. Questa affermazione non ha alcun senso: dove è stabilito e chi ci assicura che verranno “cacciati” gli incompetenti e mantenuti i “veri professionisti”? Tralasciando il fatto che a nostro parere tutti i parlamentari siano incompetenti e in un certo senso illegittimi, la semplice logica ci dice che così come possono esser mantenuti i seri, possono tranquillamente esser cacciati solamente questi e mantenuti dunque solo gli incompetenti. Insomma, se su 1000 parlamentari ci sono 500 incompetenti non è detto che, riducendo il numero dei posti, rimarranno solo i 500 “competenti”: potrebbero rimanere 250 competenti e incompetenti, così come potrebbero rimanere, al contrario, solo 500 incompetenti.

5) Non è vero che si snellisce la burocrazia:

Viene spesso detto che, tagliando il numero dei parlamentari, i processi burocratici volti all’approvazione delle leggi saranno più rapidi e meno ferraginosi. Altra beffa. Il numero delle commissioni sarà il medesimo e diminuiranno invece le persone dentro. È facile comprendere che, se mai ci fosse qualche variazione nel tempo dello svolgimento dei processi burocratici, sarà senz’altro in peggio. La problematica relativa alla “lentezza burocratica” non risiede nel numero dei parlamentari, ma nelle varie leggi che regolano le relazioni tra le due Camere. Deve passare un certo tot. di tempo nell’approvare una legge e, nel caso non la si accettasse e si proponessero modifiche, si dovrà aspettare ancor più tempo. Insomma, il numero dei membri non c’entra e, anzi, potrebbe velocizzare il processo. Allo stesso modo, il problema non è esclusivamente il bicameralismo, che è invece il sistema (purtroppo) “più democratico” che ci possa essere in un sistema parlamentare borghese. Questo lo aveva già ben capito nel 1748 Montesquieu, nel suo “De l’Esprit des Lois” (“Lo Spirito delle Leggi”), dividendo i poteri legislativo, esecutivo, e giudiziario; vorremmo forse tornare nel ‘700 e rinnegare tutti i progressi politico-filosofici e democratici che abbiamo fatto da allora, grazie ai vari Illuministi? Smentiamo, già che ci siamo, anche le varie voci, bufale che girano riguardo al bicameralismo, che affermano che l’Italia sia l’unico Paese in Occidente con due Camere. La verità è l’opposto: alleghiamo dunque qui di seguito una mappa del mondo che chiarirà le idee [in blu il bicamerale; in arancione l’unicamerale; in verde un’unica camera consultiva; in nero l’assenza di camere]:

Conclusione:

Non possiamo che essere avversi al sistema parlamentare borghese, ma tra il rimanere sulla padella e il passare sulla brace è logico che “preferiamo” la prima. Il “NO” al taglio dei parlamentari non cambierà la debole democrazia a cui siamo costretti ad appellarci e a farci rappresentare, ma eviterà appunto quel “sì” che invece cambierebbe certamente la situazione, ma in peggio. E di questi tempi il rischio è duplice: le tensioni che si stanno presentando e che, inevitabilmente, si andranno a presentare in questi mesi e negli anni a venire, porranno l’Italia davanti ad un bivio. Va infatti osservata anche la situazione geopolitica, ciò che sta avvenendo nel mondo. Siamo nel bel mezzo di una guerra fredda tra gli Stati uniti, il suo asse coloniale, e la Cina con i suoi alleati; e un sistema parlamentare debole come quello che avremmo dopo il referendum se vincesse il “sì” porrebbe le basi per una futura tirannia, eventualmente fascista.


Note

1. Risulta dunque che la spesa minima mensile per pagare i parlamentari della Camera dei deputati sarà di 4.683.164,80 euro. Moltiplichiamo per 12 mesi e otterremo la cifra che dovremmo sborsare ogni anno: 56.197.977,60 (approssimando sono 56,2 milioni). Passando al Senato, risulterà che sborsiamo mensilmente ai vari senatori 8.801.950,50 euro; cioè 105.623.406 euro all’anno (approssimando sono 105,6 milioni). Ed ecco che avremo la cifra totale che pagano i cittadini italiani, annualmente, a tutto il parlamento: 161,8 milioni.

2. Sottraendo 1.550 a 14.634,89 e a 13.971,35 otterremo rispettivamente 13.084,89 e 12.421,35 euro, che sono i soldi risparmiati mensilmente per ogni senatore e per ogni deputato. Mensilmente verrebbero risparmiati 4.187.164,80 euro per il Senato e 7.825.419 euro per la Camera dei deputati. Cioè risparmiati rispettivamente 50.245.977,60 euro e 93.905.028 euro all’anno. La somma del risparmio annuo totale sarà di 144.151.005,60 (approssimativamente 144,1 milioni).