Siamo sull’orlo di un nuovo lockdown. La sanità pubblica negli ultimi decenni ha subito enormi tagli, a causa dei quali a molte persone non sono garantite cure adeguate. Le persone che soffrono di disturbi alimentari ne risentono molto di questo, ma i DCA, nonostante siano tra le malattie mentali più diffuse tra i giovani, non sono ancora considerate come patologie da curare con assistenza immediata. In questa lettera rimango anonima perché sì, mi vergogno, ma soffro di DCA. E, con la mia esperienza, voglio portare la voce di chi si trova nella mia stessa situazione, di chi è invisibile e ha estremamente bisogno di aiuto.

Sono disperata, non potrò accedere alle cure e alle visite alle quali avevo preso appuntamento, tralasciando che sono in lista d’attesa da 3 mesi. Già durante il primo lockdown ebbi una pesante ricaduta, chiusa in casa forzatamente con il nemico numero 1: il cibo. Giornate passate a cercare di digiunare, di fare in casa più attività fisica possibile per bruciare le Kcal che mi parevano eccessive, momenti in cui cercavo di vomitare per non prendere peso. A migliaia di ragazze sono state tolte le terapie nello stesso periodo e tutto ciò perché il sistema sanitario è al collasso, non ci sono posti letto in psichiatria, mancano strutture pubbliche adeguate (e ciò anche prima della Pandemia). È un effetto a domino per il quale le persone che soffrono di DCA sono aumentate tra febbraio/maggio del 30%.

E ora siamo punto e a capo. Lo stress, la paura che il mondo crolli data la situazione attuale contribuiscono e, purtroppo, non voglio più mangiare. Mi sento inutile al mondo, mi sento sempre non abbastanza, vivo nella paura e nella sofferenza. Il tutto mi ha portata a sviluppare depressione che mi ha a sua volta portata all’abuso di psicofarmaci (benzodiazepine, tra i peggiori nel causare dipendenza) e ai ripetuti pensieri suicidi. È un cane che si morde la coda. Non si può considerare una patologia del genere come un capriccio perché è invece il risultato di una profonda sofferenza. Non si vuole più vivere, si cerca di annullarsi in ogni modo possibile ed il cibo è lo strumento per dimostrare questa sofferenza interiore, è un grido d’aiuto. Perché sì, noi soffriamo profondamente, ma non siamo capite/i, e, ripeto, spesso addirittura non si ha possibilità di ricevere aiuto perché considerate/i “non troppo grave/i”. E qui cosa succede? Che per avere assistenza medica nella testa parte il maledetto meccanismo del “non sono abbastanza malata/o, devo perdere ancora peso“. Ma non è una questione fisica, quella è solo la punta dell’iceberg, il risultato del disagio interiore.

La Sanità pubblica deve assumersi le proprie responsabilità nel confronto di chi è MORTA/O perché sembrava stare bene, ma passava giorni interi a vomitare, responsabilità nel confronto di chi aveva un peso non troppo rischioso, ma gli organi interni sono ceduti perché hanno subito troppi danni. Non si può più permettere che si muoia così, all’improvviso, tra l’indifferenza di tutti. Sono disperata io, sono disperate/i tutte/i coloro che vivono questo inferno. Abbiamo bisogno urgentemente di essere curate/i perché il diritto alla sanità mentale dovrebbe essere prioritario in uno Stato che tuteli i propri cittadini, abbiamo bisogno che nel prossimo lockdown ci siano garantite le terapie che ci servono per vivere perché questo è sopravvivere. È prioritario che i DCA vengano inseriti tra i LEA (livelli essenziali di assistenza) e che lo Stato non ci abbandoni più nella nostra sofferenza. Non toglieteci la terapia. Unite/i nella lotta, anche per dare giustizia a tutte le vittime alle quali, negli anni, non sono state garantite le cure e, purtroppo, hanno lasciato troppo presto questo mondo ingiusto.