di Leonardo Sinigaglia

Il Tauber è un un affluente del Meno, e scorre alla sinistra di questo nelle regioni del Baden-Württemberg e della Bavaria. Esso dà il nome al Tauberland, zona che si estende in direzione ovest-est all’estremo confine nord-orientale dello stato del Baden-Württemberg, caratterizzato dalla presenza di terreni argillosi pianeggianti e di frastagliate colline che si alternano nella zona del bacino idrografico. Pochi chilometri a Nord, in quello che oggi è lo stato della Bavaria, sorge Helmstadt, cittadina di poco più di 2700 abitanti. Quello che per noi oggi è un piccolo borgo privo di importanza, nei secoli medievali e della prima età moderna si configurava come un centro periferico di tutto rispetto, con una vita economica dignitosa e che andò in declino solo al seguito della totale distruzione durante uno scontro fra il conte di Wertheim e l’Ordine Teutonico, avvenuta fra il 1466 e il 1467.Alcuni decenni prima che ciò succedesse, Helmstadt vide i natali di Hans Böheim, pastore e musicista, detto il “timpanista di Niklashausen”, dalla città in cui visse per la maggior parte della sua vita. Un giorno del 1476 gli abitanti del Taubergrund lo videro aggirarsi per i villaggi non già in veste di intrattenitore, ma in quella di profeta: “Egli raccontava che gli era apparsa la vergine Maria e gli aveva ordinato di bruciare il suo timpano, di non adoperarsi più per i balli e per gli altri piaceri colpevoli, e di chiamare il popolo alla penitenza. E perciò tutti dovevano allontanarsi dai propri peccati e dalle vane gioie di questo mondo, rinunziare a tutte le pompe e gli ornamenti e recarsi in pellegrinaggio alla madre di Dio di Niklashausen, per implorare il perdono dei propri peccati.” (F.Engels, “La Guerra dei Contadini della Germania”, 1850).

Di figure di “illuminati” che predicano l’astinenza dai piaceri terreni la storia, in specie quella d’epoca moderna, è colma. La fortuna di essi  è stata anche alterna, alcuni sono passati inosservati ai posteri, predicatori di campagna dalla scarsa incidenza storica, mentre altri sono riusciti ad imprimere un cambiamento profondo nella loro società, basti pensare a Francesco d’Assisi con l’ordine da lui fondato che con un voto d’estrema povertà voleva ricostruire una religiosità più profonda e originaria. Il caso di Hans Böhm non appartiene a nessuno di questi due estremi. Certo, il suo nome è sconosciuto ai più, ma rispetto ad un qualsiasi mistico rurale egli “rischiò” veramente di stravolgere il corso della storia, se non altro di dare un profondo scossone che avrebbe anticipato di quasi mezzo secolo le vicende della guerra dei contadini tedeschi e di ancor più le teorizzazioni dei socialisti utopisti. Hans Böhm non voleva solo riportare il cristianesimo ad una purezza primigenia andata a perdersi, voleva rivoluzionare il mondo. “La Madre di Dio di Niklashausen gli aveva rivelato — egli predicava — che da ora in avanti non ci dovevano essere né imperatori, né principi, né papa, e neppure autorità ecclesiastica o laica: ognuno doveva essere fratello dell’altro, guadagnarsi il pane col lavoro delle sue mani e nessuno doveva possedere più degli altri. Tutti i censi, le tasse, le gabelle, le imposte e gli altri tributi e prestazioni dovevano essere abolite in perpetuo, e boschi, acque e pascoli dappertutto dovevano essere liberi.” (ibidem)

Il popolo accolse con gioia questa sua “buona novella” che andava predicando nonostante l’opposizione del clero locale e delle autorità civili, spaventati da queste parole sediziose. Moltissimi contadini accorrevano a sentire le sue orazioni ogni domenica, pervasi non solamente dal sentimento religioso, ma dall’interesse che scaturiva dalle parole di questo nuovo profeta, così vicino alla loro realtà, così diverso dai preti che per secoli avevano insegnato che è compito del cristiano ubbidire all’autorità: “Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori, perché non vi è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono da lui ordinate” (Romani, 13:1). Ma al posto di insegnare la sottomissione al nobile, al vescovo e all’imperatore, Hans propagandava che la Vergine Maria stessa voleva che sulla Terra regnassero fraternità ed eguaglianza, e che ogni gerarchia, ogni rapporto di subalternità andava abbattuto, per vivere insieme, da fratelli, nella comune fede in Cristo. La folla dei suoi seguaci si espanse: dalla Baviera, dal Meno, dall’Odenwald e dal Jaxt accorrevano numerosi a lui, arrivando al punto che le sue prediche domenicali potevano essere  presenziate anche da 40.000 persone. Ma la semplice predicazione non era l’orizzonte di  Böhm. “[…]  si teneva in segreto contatto col parroco di Niklashausen e con due cavalieri, Kunz di Thunfeld e suo figlio che seguivano la nuova dottrina, che dovevano esser i capi militari della progettata insurrezione. Finalmente, la domenica prima di San Ciliano, la sua forza gli sembrò sufficiente e diede il segnale. «E ora» egli disse a conclusione della sua predica, «andate e ponderate che cosa vi ha annunziato la santissima Madre di Dio. Sabato prossimo lasciate a casa le donne, i fanciulli e i vecchi e ritornate a Niklashausen, voi uomini, il giorno di Santa Margherita, che è sabato prossimo. E portate con voi fratelli ed amici quanti più potete. Ma non venite col vostro bastone di pellegrini. Venite armati. In una mano il cero, nell’altra la spada o la picca o l’alabarda. E la santa vergine vi annunzierà che cosa vuole che voi facciate» (F.Engels, “La Guerra dei Contadini della Germania”, 1850).Dall’appello alla rinuncia dei lussi a quello all’insurrezione armata. Il cammino che Hans Böhm aveva imboccato non poteva che condurlo allo scontro aperto con le autorità del suo mondo, che prontamente intervennero e, rapito nottetempo e dispersi i suoi confusi e sparpagliati sostenitori, lo arsero sul rogo. Il suo tentativo di rivolta non fu l’unico di quegli anni:  sempre le stesse zone della Germania furono attraversati dalle folle contadine ed urbane della Bundschuh, che continuò a vivere in clandestinità insorgendo a sorpresa a più riprese fino ai primi anni del secolo XVI, o ancora il movimento contadino del Povero Corrado, che ebbe base nella valle di Hems ai piedi del monte Hohenstaufen, e che fra 1514 e 1515 conquistò diverse città della regione, o ancora la rivolta dei crociati di Giorgio Dòzsa, che a Csanàd, contro una nobiltà ritenuta traditrice, proclamò “la Repubblica, l’abolizione della nobiltà, l’eguaglianza generale e la sovranità del popolo” (ibidem). In questa esplosione di conflittualità plebea bisogna leggere i sintomi di un cambiamento radicale che stava affrontando la società tedesca e, più in generale, europea. La decadenza del sistema feudale, il consolidamento del potere dei centri manifatturieri cittadini, l’avvento dei principi territoriali, i tentativi di centralizzare il potere da parte delle autorità politiche, il tutto unito alle carestie, epidemie e alle guerre che rappresentavano per il popolo rurale cataclismi spesso consequenziali ed assolutamente devastanti.

I villaggi contadini vivevano in quei secoli un vero e proprio assedio da parte delle forze e dei processi che avrebbero caratterizzato la successiva evoluzione socio-economica del loro mondo: la proprietà agraria era in tutti i modi assaltata dai principi territoriali, sia laici che ecclesiastici, trasformando così il libero agricoltore in salariato; gli antichi accordi relativi a decime, gabelle, tasse, servizi e diritti d’accesso venivano costantemente messi in discussione anche in maniera violenta dai possidenti, i quali si vedevano costretti ad aumentare i propri introiti per sostenere sempre maggiori sforzi militari o costosi tentativi di rendere più efficace e presente l’azione di governo: “La lotta per la revisione dei canoni fondiari, per l’accaparramento di boschi e pascoli, per l’affermazione di una proprietà assoluta della terra, contrappose i signori ai villaggi e i rapporti di forza decisero quale sarebbe stata l’evoluzione successiva” (O. Di Simplicio, “Le rivolte contadine in Europa”, Riuniti 1986); ma non solo le forze laiche dell’economia e della guerra cospiravano contro le masse contadine, anche la Chiesa richiedeva in maniera sempre più invadente tributi ed influenza ben poco “spirituale”. La distruzione della proprietà comune e personale in nome dell’accrescimento del potere e della ricchezza dei potentati locali e la crescente evidenza della corruzione e della materialità della Chiesa cattolica crearono nelle campagne un mix di tensioni pronte ad esplodere in qualsiasi momento. Anche nelle città la situazione non era differente: la nascita di un primo proletariato urbano rappresentava un problema di ordine pubblico indissolubilmente collegato al fiorire dell’attività manifatturiera e proto-industriale delle città tedesche, in particolare quelle della Lega Anseatica o dei grandi centri produttivi quali Augusta, Colonia, Lipsia, Freiburg e Brema. Ma la prosperità delle città era resa possibile in primis dall’estrazione delle materie prime dal territorio rurale, dove anche per la lontananza dalle Corporazioni e dai loro regolamentazioni i prezzi della manodopera potevano essere molto più bassi. Carbone, legna e argento rappresentavano alcune delle materie prime più redditizie, tanto che l’apertura delle rotte mercantili ad essi collegati permise uno sbocco anche per prodotti di mercati vicini: “La produzione argentifera nelle regioni di Goslar, di Freiberg e di Freiburg creò nella Germania  centrale un potere d’acquisto che vi facilitò largamente l’esito di panni fiamminghi” (“Storia economica dell’Europa preindustriale”, C.M. Cipolla, il Mulino 1974). Ma la conflittualità non esisteva solo fra le masse rurali e i possidenti: la nobiltà feudale si trovò a più riprese in guerra con i principi per cercare di tutelare sia la propria indipendenza sia il potere dell’Impero da cui essa dipendeva; gli stessi principi laici vedevano i propri colleghi ecclesiastici come avversari, e puntavano gli occhi sulle loro spesso inalienabili ricchezze; gli emergenti ceti mercantili e borghesi si trovavano schiacciati fra la necessità di espandere le proprie fonti di guadagno e l’apparato legislativo e fiscale della fase terminale del feudalesimo, e trovavano così rifugio nelle città libere, importanti centri manifatturieri e finanziari, che, seppur a livello forse inferiore rispetto a coevi centri olandesi ed italiani, potevano comunque godere di una grande influenza politica.

In un mondo dove la Chiesa godeva del monopolio della cultura, e dove la stessa struttura politica era legittima in quanto garantita dal volere di Dio, era ovvio che qualsiasi sconvolgimento, dal più moderato al più radicale, avrebbe dovuto passare in primis come contestazione teologica e dottrinale. Ed è per questo che quella che potrebbe sembrare una semplice disputa teologica tra Martin Luther, monaco agostiniano, e le autorità ecclesiastiche si trasformò nel giro di poco tempo in uno scontro politico, che vide contrapposti contadini, nobili, potenze straniere e le autorità imperiali. Sconvolto dalla vendita delle indulgenze promossa da Alberto Hohenzollern per ripagare al Papato la nomina a Cardinale dell’elettorato di Magonza, carica che si sarebbe andata a sommare con altre due cariche vescovili e che peraltro garantiva il titolo di Principe Elettore di uno dei tre principati ecclesiastici del Sacro Romano Impero, Martin Luther indirizzò a lui le sue 95 tesi. Il contenuto di queste non andava solo a contrastare le diffuse pratiche simoniache e legate alle indulgenze, ma colpivano al cuore il potere della Chiesa Cattolica: fine del monopolio ecclesiastico sulla teologia, sulla mediazione fra l’uomo e il divino e sul sacerdozio, e di conseguenza crollo dell’autorità della chiesa in campo culturale e morale. Non solo: il potere temporale dell’istituzione ecclesiastica e dei suoi membri rischiava di scomparire.

La dottrina promossa da Martin Luther si qualificava come l’ideale punto di riferimento per la borghesia urbana in cerca di imporre il proprio controllo politico sulle città, per i principi vogliosi di aumentare la propria autonomia ed indipendenza rispetto alle autorità imperiale ma anche per quell’ampio strato plebeo, dalla piccola borghesia fino ai contadini, pervaso ormai da forti sentimenti anticlericali. Era solo questione di tempo perché il fervore delle parole del riformatore non cedesse il passo ad un diplomatico atteggiamento volto a garantirsi la copertura politica di una parte della nobiltà. Fu soltanto per questo che potè evitare la condanna a morte prevista dal bando ordinato dall’imperatore Carlo V nel 1521. Possiamo leggere nella sua lettere “Alla nobiltà della nazione tedesca” pubblicato l’anno precedente come siano i nobili il soggetto a cui Martin Luther  decide di rivolgersi per portare avanti la sua riforma, non già ai contadini o alla plebe urbana. Non c’è da stupirsi che egli venisse quindi definito un “servo dei principi” da quello che sarà per alcuni anni un suo importante avversario, Thomas Müntzer.

Prete nella città di Brunswick nel 1514, sarà a Wittenberg nel 1517 entrando così in contatto con Luther, del quale condividerà la critica alle indulgenze e alla Chiesa Cattolica. Negli anni successivi sviluppò contatti con altri protagonisti della contestazione alla dottrina romana come Tauler, Karlstadt ed Eck. Ma le differenze rispetto a Matin Luther emergeranno in poco tempo, portando ad una profonda inimicizia che li vedrà combattere su campi contrapposti nella futura guerra dei contadini. Al cospetto dei nobili della cerchia del Duca Giovanni della città di Allstedt, nel 1524, Thomas Müntzer pronunciò il suo “Sermone ai principi”, in cui violentissimi attacchi, spesso minacce nemmeno troppo velate, si susseguivano diretti alle autorità temporali, al clero, ai teologi. Vi era anche l’esposizione di una dottrina che si poneva in netto contrasto tanto verso la riforma luterana quanto all’ortodossia cattolica: il credente si avvicina a Dio attraverso la ricerca della verità avendo come uniche autorità Dio e suoi profeti, anche senza l’intermediazione delle scritture e dei teologi. La povera gente, eternamente sofferente, è più vicina a Dio e destinata al paradiso e rappresenta il vero popolo fedele, mentre i principi, che rifiutano di muovere la spada contro poteri temporali e religiosi corrotti e malvagi, devono essere abbattuti: “se i nobili non usano la spada, sarà loro tolta”. Lo stesso Sacro Romano Impero è inserito a livello simbolico insieme agli altri grandi imperi della storia annunciati dal sogno di Nabucodonosor (Daniele 2), e dovrà essere abbattuto in quanto marcio ed empio. Nelle sue parole e nella sua dottrina possiamo leggere, al contrario di quanto accade con Martin Luther, gli interessi e le prospettive delle classi subalterne, delle grandi masse oppresse della Germania che non cercano  una revisione dei rapporti fra le varie autorità politiche e religiose, ma un mutamento radicale delle loro condizioni. Ma tutto ciò non si fermava ad una semplice rivendicazione di antichi diritti e privilegi, motivo ricorrente in moltissime rivolte coeve e precedenti, ma aggiungeva una volontà di miglioramento: abolizione della servitù, elezione e possibilità di destituzione dei pastori, utilizzo a sfondo sociale della decima, diminuzione dei canoni di locazione, ripristino delle terre comuni e delle libertà di usufruire dei terreni e dei boschi per la raccolta di frutti, di legna e per la caccia. Questo programma venne espresso nei “Dodici articoli”, una serie di rivendicazioni che vennero influenzate, se non scritte, dallo stesso Thomas Müntzer. Ma per attuare questo programma non servono le suppliche, è necessaria l’azione. Nel 1525 a Mühlhausen, accorso dopo lo scoppio dei primi moti in Svevia divenuti sistematici dall’anno precedente, fondò la Lega degli Eletti, milizia con la quale partecipò agli scontri armati contro i nobili nella guerra civile che stava imperversando nella regione, e che lo vedeva come uno dei massimi rappresentanti della fazione contadina. La sua ostilità verso i nobili cresceva infatti di giorno in giorno, andando a caratterizzarsi sempre di più come posizione politica più che teologica, anche se queste due categorie appaiono inscindibili nella sua epoca. Scrive al Conte Ernst di Mansfeld nello stesso periodo: “Ora dicci, miserabile sacco di vermi, chi ti rese principe del popolo che Dio redense col suo stesso prezioso sangue? […] l’Eterno ha comandato che tu sia gettato giù dal trono dal potere che egli ci ha concesso […]” (“Omnia sunt communia: the political theology of Thomas Müntzer”, Seth McNab, 2018).Nel suo pensiero la forza che si era scatenata contro i nobili, la forza del popolo insorto, null’altro era che un’apocalittica arma di Dio, da Lui scatenata sulla terra per portare al suo regno. E in effetti era una situazione apocalittica quella che si materializzava ai suoi occhi: “I contadini dell’abbazia di Marchtal si rifiutarono di compiere servizi e prestazioni feudali; nel maggio i contadini di San Biagio si rifiutarono di pagare i tributi inerenti al servaggio; nel giugno i contadini di Steinheim, presso Memmingen, dichiararono di non voler pagare né decime né altri tributi; nel luglio e nell’agosto insorsero i contadini di Thurgau […]. I contadini di Stühlingen improvvisamente rifiutarono di compiere le loro prestazioni per il langravio, si radunarono in forti schiere e il 24 ottobre del 1524 sotto la condotta di Gianni Müller von Bulgenbach, marciarono su Waldshut. Qui, in comunione con i borghesi, fondarono una fratellanza evangelica. I cittadini aderirono tanto più volentieri a questa unione, in quanto già erano in conflitto col governo dell’Alta Austria per via delle persecuzioni esercitate contro il loro predicatore Baldassarre Hubmaier, amico e discepolo di Münzer. […] furono mandati emissari in Alsazia, nella regione della Mosella, in tutta l’Alta Renania e nella Franconia, per fare entrare i contadini nella lega, e quali scopi della lega furono proclamati: l’abolizione della feudalità, la distruzione di tutti i castelli e di tutti i conventi e l’abolizione di tutti i sovrani ad eccezione dell’imperatore. La bandiera della lega fu il tricolore tedesco.” (F.Engels, “La Guerra dei Contadini della Germania”, 1850).

La Lega, Bund in tedesco, fu l’unità politica attorno alla quale Müntzer e gli altri capi diedero vita all’insurrezione. Il suo scopo venne esplicitato nel “Progetto Costituzionale”, un testo che dava una base di struttura politica di un futuro governo popolare alla cui base stava l’autogoverno delle comunità, la comunione dei beni e la nomina di lord territoriali revocabili con funzioni militari ed esecutive.  Ai nobili era offerta la scelta di entrare nel Bund, abbandonando quindi la loro empia via ed abbracciando la Fede, o perire. I poveri non si sarebbero più lasciati “spellare e scorticare dai tiranni”, come scrisse in “Esposizione della Vera Fede”. Molti nobili si unirono alle schiere degli insorti, alcuni per convenienza e per calcoli politici, altri per reale convinzione, fra questi troviamo Floryan Geyer, nobile della Franconia con esperienze come diplomatico e uomo d’armi. Al suo comando riunì la “Schwarzer Haufen”, la Schiera Nera, unità di soldati corazzati e ben disciplinati che guidò in spedizioni atte a scovare e giustiziare nobili e membri del clero. Essi componevano una delle tante bande del frammentato ed eterogeneo esercito contadino, che aveva in loro la sua unica unità di cavalleria pesante. Composto da contadini, borghesi, artigiani, vagabondi ed avventurieri, questa armata riuscì a conquistare e a dare alle fiamme centinaia di castelli e conventi, ad impadronirsi o ad allearsi a svariate città, ma manco della forze e della capacità di opporsi ai più organizzati eserciti dei principi. Piagati dai tradimenti degli esponenti del ceto borghese, spesso più interessati a negoziare con le forze nemiche garanzie e tutele che a completare l’apocalisse rivoluzionaria, dalla forza demoralizzatrice delle bande di straccioni, tanto veloci a presentarsi quanto a fuggire, e dai tentennamenti delle componenti moderate, facili da ingannare dalle promesse e dalle trattative delle autorità, oltre che da un nocivo provincialismo che impediva un serio coordinamento fra le forze delle varie regioni, esso venne meno, ma non senza accanite battaglie e indicibili stragi da parte nobiliare. Lo stesso Floryan Geyer morì dopo svariati combattimenti e dopo essere sfuggito all’assedio del castello di Ingolstadt grazie ad una sortita alla quale era sopravvissuta una manciata di uomini, fu rintracciato e trucidato nei pressi di Gaildorf, dove si sarebbe ricongiunto con una colonna di 7.000 contadini. Non fu una migliore sorte quella che fu riservata a  Giacomino Rohrbach, altro famoso e valoroso capo della rivolta. Riunita la sua schiera  a Böblingen, venne a contatto con le forze di Georg Truchsess, soprannominato “Bauernjörg”, torturatore di contadini, il quale volle negoziare un armistizio. Approfittando di ciò, Truchsess lanciò un attacco a sorpresa alle linee dei rivoltosi, che traditi dal borgomastro della città si trovarono privati di un punto d’appoggio. Le truppe nobiliari ebbero il sopravvento grazie alla cavalleria, che fece strage dei contadini. Rohrbach “fu fatto prigioniero e trascinato in catene fino a Neckargartach, dove Truchsess lo fece legare ad un palo, intorno al quale fu accatastata della legna, e lo fece arrostire vivo a fuoco lento, mentre egli [Truchsess], sbevazzando, si godeva assieme ai suoi cavalieri questo nobile spettacolo.”  (ibidem).

Lo stesso giorno, il 15 maggio, Thomas Müntzer diede battaglia alle porte di Frankenhousen con i suoi uomini alle armate dei principi. Ma lo scontro fu breve per la superiorità militare delle schiere nobiliari. Müntzer fu catturato, torturato ed interrogato per giorni, e alla fine giustiziato il 27 dello stesso mese. I pochi ribelli rimasti furono cacciati e sconfitti, mentre i loro villaggi bruciavano e a centinaia venivano decapitati o mutilati. L’analisi storica della Guerra dei Contadini che imperversò in Germania fra il 1524 e il 1525 ci permette di gettare luce su una storia diversa da quella che per secoli ci è stata trasmessa, dominata da pochi grandi uomini attorno ai quali si presenta un mondo pressoché immobile, un palcoscenico composto da milioni di persone che hanno lavorato, sofferto, subito e combattuto all’ombra dei potenti. Milioni che hanno trovato la forza di reagire anche grazie alle parole e all’esempio di Thomas Müntzer e dei suoi compagni.