di Eros R.F.
È passato un altro anno, stavolta piuttosto particolare. Uno dei più grandi vizi dell’uomo è aver la memoria corta, ed esser allo stesso tempo condizionato ed influenzato enormemente dalle informazioni che riceve quotidianamente; è scontato che se si chiedesse ad un cittadino quale sia la prima cosa che viene in mente quando si pensa al 2020, dirà “il covid”. È dunque un obbligo far un riassunto di questo denso e lungo anno che sta finendo, ricordando le varie tragedie, le varie battaglie che sono scoppiate o che si stanno continuando a lottate, quest’anno messe in secondo piano rispetto all’emergenza covid, e spesso – quasi sempre – oscurate comunque dai nostri media occidentali, ma che abbiamo lo stesso provato, nel nostro piccolo, ad esporre e, se opportuno, sostenerle.
Ricordiamo dunque come è iniziato il 2020, con l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani per mano del criminale di guerra Trump, appena il 3 gennaio, nella maniera più meschina possibile, ovvero con un attacco aereo con droni sopra un aeroporto – quindi di fatto una violazione del suolo non solo nazionale iraqeno, ma anche internazionale [nostro comunicato]. A seguire, la scontata passerella oscena dei collaborazionisti dell’impero atlantico, quali il buffone Salvini, che s’è affrettato a congratularsi col suo padrone per il successo del raid criminale. Ed è stato altrettanto scontato il cordoglio da parte degli alleati dell’Iran e i Paesi anti-imperialisti, quali Russia, Cina, Cuba, Nicaragua, Venezuela, ecc. Tralasciando le ovvie critiche che possiamo tener in serbo verso l’Iran teocratico, non possiamo non ricordare il grosso peso che Soleimani ha avuto nella lotta contro il terrorismo islamico in Siria, nel suo contributo nel fornire le prove sulla cooperazione tra Usa, Israele ed isis, e nel supporto che ha dato alla resistenza partigiana dei Palestinesi [Assad ricorda Soleimani]. E come scordare infine l’immensa folla, che testimonia il palese affetto che il Popolo iraniano (ma anche iraqeno, in funzione anti-terrorismo) provava per Qasem, derisa dall’occidente, spacciata per una massa di imbecilli inferiori ed ignoranti; occidentali invidiosi – e probabilmente impauriti – di un generale che ha più sostegno di tutti i presidenti occidentali messi insieme.
L’8 gennaio viene indetta in India la “Bharat Bandh” (grande mobilitazione nazionale), che sarà cioè lo sciopero più grande che la storia abbia mai visto. Lo stesso Paese aveva già avuto record storici con gli scioperi e le mobilitazioni del 2 settembre 2015 (circa 120 milioni di partecipanti), nel settembre 2016 (con ben 180 milioni di lavoratori), e nell’8 e 9 gennaio dell’anno scorso (circa 200 milioni). Ebbene l’8 gennaio del 2020 ha fatto scendere in piazza tra le 200 e le 250 milioni di persone, che hanno protestato – tra le tante cose – per il ritiro di tutte le “leggi anti-agricoltori e dei codici del lavoro anti-lavoratori”; lottato per il versamento di 7.500 rupie nei conti di ogni famiglia povera, già esente dalle tasse; per la fornitura mensile di 10 kg di cibo alle famiglie bisognose; per l’espansione del MGNREGS (Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act del 2005) per stabilire 200 giorni lavorativi all’anno, salari più alti e l’estensione della legge alle industrie urbane; interrompere la “privatizzazione del settore pubblico, compreso il settore finanziario, e fermare la privatizzazione delle aziende manifatturiere e dei servizi gestiti dal governo, come le ferrovie, le fabbriche di munizioni, i porti, ecc.”; il ritiro del “pensionamento forzato draconiano forzato e prematuro dei dipendenti del governo e del PSU (settore pubblico)”; pensioni per tutti, la soppressione del sistema pensionistico nazionale e la reimposizione del precedente piano di previdenza, con modifiche. [articolo sullo sciopero qui]
L’11 aprile muore per la quinta volta – prima volta per questo anno – il lider (nord)coreano Kim Jong Un. Verso il 20 dello stesso mese una testata giornalistica di Hong Kong – ovviamente molto affidabile, a quanto dicono i nostri padroni occidentali – rilascia una foto-scoop ritraente Kim sul proprio letto di morte. Chiaramente nessun dubbio sulla veridicità, come alcun dubbio avevamo in serbo verso i video e le foto che mostrano Gheddafi gettare nelle fosse comuni le ragazzine, e come alcun dubbio avevamo quando ci hanno mostrato i caschi bian.. ehm i soldati russi e l’esercito siriano comandato da Assad attaccare con le armi chimiche un ospedale.Il 28 aprile arriva anche la conferma del nostro sinologo Francesco Sisci: Kim è ormai clinicamente morto.
Il 2 maggio, dopo quindi circa 20 giorni, resuscita il nostro salvatore lider eterno Kim, per la quinta volta! Ripetiamo: non mettiamo in dubbio ciò che dicevano i media!
Il 10 giugno si inaspriscono notevolmente le tensioni tra Grecia e Turchia, con quest’ultima che più volte, ormai da tempo, entra nelle acque territoriali elleniche, finendo per gestire addirittura le rotte in varie zone che non le competono.
Il 24 maggio iniziano le proteste neo-naziste contro il presidente bielorusso Lukashenko, reo di aver arrestato il banchiere Viktar Babaryka e il venduto youtuber – proprietario di night-club – Sjarhej Cichanoŭskij, entrambi finanziati dall’impero a feci e strisce.
Il 25 maggio viene ucciso barbaramente George Floyd da parte di un poliziotto – sostenuto da altri colleghi criminali – con palese sfondo razzista e ovviamente classista. Da questa uccisione per mano delle forze del (dis)ordine – che è stata solo una delle tante, oramai quotidiane – scatenerà massicce proteste che non si vedevano ormai da anni negli Stati uniti. Proteste ovviamente strumentalizzate, non essendoci un alternativa socialista, dai “democratici”, avversi per motivi collegabili a vari interessi economici alla presidenza di Trump [nostra breve analisi su ciò che accadeva, e ancora a chiazza accade, in USA]. Proteste così massicce e dalle dimensioni storiche, sparse praticamente su tutti gli Stati, che ha portato la casa bianca a calare la maschera, schierando esercito e armando fino ai denti la polizia; tanto da arrestare perfino un giornalista, che per una volta documentava qualcosa di vero – anche se palesemente strumentalizzando, come detto, per la fazione borghese “”opposta”” a Trump [nostra breve considerazione a riguardo]. Proteste che tuttavia hanno dato un forte segno di debolezza di quell’impero pregno di conflitti e contraddizioni interne, e che non possono che essere un degno inizio con cui, si spera, avverrà lo slancio del Popolo nordamericano. Il malcontento c’è, la coscienza di classe scarseggia ma la si sta iniziando a notare; ciò che manca è soprattutto coscienza politica, carente per via di un assenza da parte dei Partiti d’avanguardia occidentali (praticamente inesistenti nel caso americano). Ed ecco quindi statue di coloni e razzisti che vengono abbattute [nostro articolo sul tema], negozi, specialmente catene lussuose, fasciati, scontri con la polizia, ma anche primi esperimenti di comunità locali autogestite, senza polizia – chiaramente con i propri limiti dovuti all’anarchia con cui queste sono state applicate [nostro articolo sulla questione]
Il 15 luglio muore assassinato il collaboratore dell’ONU Mario Paciolla, 33enne italiano ucciso in Colombia molto probabilmente dalle forze governative di Andres Pastrana, ostili verso l’idea di qualunque tregua con i guerriglieri del FARC. Nei propri ultimi giorni confiderà diverse volte di temere di esser pedinato e intercettato, citando anche la CIA; per questo voleva tornare il più presto possibile in Italia, ma fu ritrovato morto pochi giorni prima della prevista partenza. Le autorità, sfacciatamente, parlano ancora oggi di suicidio [testimonianza della fidanzata di Paciolla, riportata dal Corriere]. Chiaramente, Paciolla non è l’unica vittima del governo colombiano filo-statunitense; la Colombia è infatti tristemente celebre per esser casa di uno dei governi liberisti più repressivi al mondo; solo quest’anno ci son stati almeno 375 uccisioni di leader ed attivisti socialisti, sindacali, ecologisti, ed ovviamente militanti dei FARC ed ELN [sulle uccisioni in Colombia] [nostro comunicato sulle repressioni in Colombia].
Il 18 luglio (ri)iniziano le proteste in Thailandia; proteste volte a rovesciare il governo militante e monarchico di Prayut Chan-o-cha. Proteste che sono iniziate per via della dissoluzione del Partito del futuro nuovo (PFN) – un partito borghese e con fini borghesi, ma che in questo contesto sta agendo da forza progressista in quanto punta a limitare le forze militari e riformare, se non abolire, la monarchia siamese.
Passando per il 3 agosto non possiamo non ricordare i risultati definitivi delle elezioni tenure 2 marzo in Guyana esequiba, con la gloriosa vincita dei Comunisti del Partito Progressista del Popolo. Un singolo partito che ha vinto con un 50,59% contro una coalizione intera composta praticamente da tutti i partiti di destra [nostro articolo d’inizio agosto riguardo la situazione latino americana (Nicaragua, Bolivia, Colombia, Venezuela e Guyana)].
Il 4 agosto avviene la tragica esplosione nel porto di Beirut, in Libano – un colpo grosso non solo per il Paese dei cedri, che stava già sull’orlo della bancarotta e il cui porto di Beirut era una delle più grandi fonti di entrare, ma anche per la Siria, che, colpita dalle sanzioni, aveva come porta principale per le importazioni proprio il porto libanese. Ennesimo tassello che fa ben supporre la regia di Israele – che si è affrettata a negare ogni coinvolgimento dopo pochi minuti dall’evento. Ennesimo, perché la rete, che, col sostegno degli Usa, è riuscita a tessere intorno a sé alleandosi e ottenendo l’appoggio dei propri crimini da parte dei Paesi autocrati ed oligarchici circostanti, non è che un segnale preoccupante che non dovremmo ignorare [articolo nostro sulle oscure trame di Israele]. Non è mancato ovviamente il sciacallaggio di Macron, atterrato nell’ex-colonia Francese appena il giorno dopo, promettendo prestiti in cambio di riforme strutturali – ci ricorda qualcosa – e lo scioglimento, la messa a bando, e la perseguitazione dell’Hezbollah, oltre all’ovvia riconciliazione, o meglio supinazione, al regime nazista di Israele.
L’11 agosto Bolsonaro fa passare una legge che prende in considerazione l’intervento militare dell’esercito nazionale brasiliano in caso di “controversie” nei Paesi “vicini”. Evidente mossa che mira a creare un fronte filo-americano in America latina, volto a far questi intervenire nel caso servisse in Venezuela, Bolivia, ma anche Guyana e Argentina – chiaramente è impossibile o almeno molto improbabile uno scontro con tutti questi Paesi; ma la minaccia, specialmente contro Venezuela e Guyana, non è da sottovalutare [nostro comunicato a riguardo].
Il 20 agosto Navalny viene presumibilmente avvelenato. A quanto pare il sanguinario tsar si è svegliato con la luna storta, decidendo arbitrariamente di metter il veleno nel perizoma – visto che l’opzione del té è stata scartata perché troppo banale – di un oppositore politico con un consenso elettorale minore all’1%, giusto per vedere lo sgomento internazionale – a quanto dicono ovviamente i nostri esperti dell’informazione, che hanno naturalmente la verità in tasca, da sempre. Dopo questo tragico fatto, la Germania fece richiesta di ottenere Navalny nei propri ospedali, paurosi di vederlo morto nell’impero zarista – nonostante sarebbe potuto morire come nulla fosse se il veleno magari non fosse stato messo nel perizoma, che presumibilmente si è messo ad annusare.
Il 23 agosto il lider eterno ultra-terreno Kim Jong Un cade per la settantunesima volta in coma. Questa volta non ce la fa, dicono gli occidentali, detentori della verità.A quanto pare, dicono, è morto anche stavolta. È la sesta.
Il 26 agosto il lider supremo ed immortale Kim Jong Un ritorna in vita, dopo 3 giorni, come Cristo. A differenza di questo, però, per la sesta volta.
Il 16 settembre viene nominato Yoshihide Suga come nuovo primo ministro del Giappone, dopo la lunga legislatura dell’ormai storico Shinzo Abe. Paese da tener sott’occhio, per via non solo del suo importante ruolo geopolitico vista la sua collocazione geografica e la sua storia millenaria, ma anche per via dei rapporti che vanno sempre più andando a scricchiolare con gli Stati uniti, preferendo, perché più proficui, stipulare (anche) accordi commerciali con la Cina, rimanendo di fatto un Paese sì soggiogato per ovvi motivi – sia militari che economici – dagli Stati uniti, ma che sta cercando, con i propri limiti, di scrollarsi questi di dosso preferendo rimanere in una sorta di imparzialità tra i due titani che stanno lottando ormai da un po’ di anni [articolo dell’Antidiplomatico sul neo-presidente Suga].
Il 20-21 settembre si è tenuto il referendum sul taglio dei parlamentari in Italia. Pagina tragica della nostra storia nazionale, che segna un passo fondamentale – certamente non il primo – del nostro regresso verso un sistema politico sempre più autocrate ed oligarchico, con ovvi rischi di deriva fascista nei prossimi anni – regime che avrà già pronta la struttura politica che utilizzerà, senza bisogno di particolari riforme ulteriori [le nostre ragioni per il No al taglio dei parlamentari].
Il 22 settembre muore, molto probabilmente per mano dell’occidente – di cui parlava male smontando bufale sui Paesi socialisti ed anti-imperialisti –, André Vltchek, uno dei giornalisti, che si possono definire effettivamente tali, più immensi che ci siano stati al mondo in questi anni. È necessario rimarcare come le circostanze della sua morte siano assolutamente anomale; con lui prima portato in carrozzina (non era disabile) da uno sconosciuto con la mascherina (a quanto visto dalle telecamere) fino alla macchina, per poi esser ritrovato qui morto la mattina – senza avere particolari patologie – davanti all’albergo in Turchia in cui aveva dormito [immagini della strana morte del giornalista]. Vi rinnoviamo il consiglio di leggere suoi articoli ed altri scritti vari, in quanto l’imparzialità e la chiarezza che lo caratterizzavano gli fanno onore, e torna utile ancora oggi avere dati ed analisi fornite da André, così come altri giornalisti come lui, in quanto le potenze imperialiste e il fronte anti-imperialista di cui parlava sono ovviamente i medesimi di oggi, e rimarranno tali ancora per molto [nostro comunicato in ricordo di Vltchek].
In Nagorno-Karabakh, invece, il 27 settembre, si sono riaccesi vecchi conflitti, ma ciò non è un caso. È molto probabile che la Turchia, guidata della politica neo ottomana di Erdogan, cerchi qualche successo dopo il fallimento in Siria, dove le sue milizie sono state sbaragliate di fronte alla gloriosa avanzata dell’Esercito Arabo Siriano e dell’aiuto dell’aviazione russa, e la “stabilizzazione” della situazione in Libia, dove gli unici successi ottenuti sono stati di ricacciare Haftar a Sirte. Quindi, Erdogan punta ora ad est, supportando l’aggressione imperialista degli Azeri contro la piccola Armenia e la Repubblica dell’Artsakh. La Repubblica si proclamò indipendente dall’Azerbaigian a seguito di un referndum popolare (svoltosi il 10 dicembre 1991) il 6 gennaio 1992. La zona è ancora rivendicata da Baku, che dopo vari anni di stabilità e relativa pace è tornata, qualche mese fa, all’assedio della regione indipendente.
Il 5 ottobre viene finalmente cambiata, con un approvazione dell’oltre 78% della popolazione, la costituzione cilena, che era praticamente rimasta tale sin dal regime fascista di pinochet. Le proteste pagano; ma questo è solo il primo passo: il Popolo ancora continua a scender in piazza contro le politiche liberiste del governo.
Il 6, 7, ed 8 ottobre sono i giorni dell’Indonesia. Questi 3 giorni l’enorme Paese asiatico li ricorderà per le massicce mobilitazioni nazionali – già iniziate comunque dal 13 gennaio – con uno sciopero di massa organizzato dal presidente della confederazione sindacale indonesiana, Said Iqbal, per via di una riforma chiamata “Omnibus” – proposta dal governo verso inizio anno e passata poi il 5 ottobre – che mirava a snellire i diritti sociali e il salario dei lavoratori, col fine di attirare finanziamenti, capitale estero, dando una spinta all’industria e all’economia. Protesta insomma che coinvolgerà migliaia, forse milioni di persone, con almeno 5.918 arresti.
Il 18 ottobre, dopo un lungo anno sotto il sanguinoso dispotismo del governo golpista – null’altro che tentacolo dell’impero atlantico –, la Bolivia riesce a riscattarsi attraverso le elezioni nazionali, con la pesantissima vicintia del MAS, col 55% (nonostante probabili brogli da parte dei golpisti, l’espulsione di osservatori internazionali da parte degli stessi, e la perseguitazione di diversi leader ed attivisti) [nostro articolo in vista delle elezioni in Bolivia; e dopo il risultato delle elezioni].
Lo stesso 18 ottobre viene brutalmente ucciso per mano dei fascio-golpisti boliviani Orlando Gutiérrez, lider sindacale minerario del FSTMB. È stato un grande combattente che ha lottato per la resistenza del proprio Popolo durante il regime filo-statunitense, organizzando, insieme agli altri sindacalisti e ai lavoratori, scioperi e manifestazioni continue, soprattutto tra i minatori – essendo la Bolivia ricca di miniere di litio, sfruttate durante il regime del 2020 dalle multinazionali statunitensi ed europee, specialmente la celebre Tesla di Elon Musk.
La notte tra il 23 e il 24 ottobre scoppia la prima grande rivolta a Napoli, iniziata dapprima come protesta piccola-borghese che chiedeva in sintesi aiuti economici che si son rivelati carenti col disastro e la chiusura delle attività per via del covid, e poi come una rivolta proletaria o sotto-proletaria, col fine di chiedere a De Luca – andando sotto il suo bel palazzone – e al governi di ricevere soldi per acquistare il cibo, il cui molte famiglie non avevano abbastanza soldi da comprare; rivolta divenuta poi violenta per via della repressione poliziesca. Da Napoli queste proteste si sono espanse praticamente in tutta Italia, dal nord al sud, dapprima a Palermo, poi da Torino a Roma, da Milano a Terni, da Bergamo e Perugia, e diverse altre città [nostre considerazioni sulle proteste nate a Napoli].
Il 24 ottobre muore tristemente Alexey Markov, comandante della brigata Prizrak, in un presunto incidente d’auto, a Luganks.
Il 27 ottobre muore al-Douri, vecchia “spalla” di Saddam, e combattente socialista contro il regime americano in Iraq fino alla fine dei propri giorni, verosimilmente per vecchiaia e per via di malattie pregresse [nostro articolo in ricordo di Markov ed al-Douri].
Il 3 novembre iniziano le elezioni negli Stati uniti d’America; ci vorranno giorni – ed anzi ancora è messo in discussione – per avere come risultato la vittoria di Joe Biden, ex-vice di Obama quando era presidente, criminale di guerra con le mani sporche di sangue per le morti in Yemen, Afghanistan, Siria, Palestina ed altri Paesi. Non ci saranno cambiamenti dalla presidenza Trump: questo deve esser chiaro; ma sono da tener d’occhio e prender molto in considerazione le dinamiche interne agli States, cioè gli aspri conflitti che stanno avendo luogo tra le due principali fazioni oligarchiche – “democratici” e “repubblicani” – con interessi economici contrastati ma ugualmente in contrapposizione agli interessi di classe del proletariato.
Il 6 novembre il neopresidente boliviano Arce rischia di esser ucciso in un vile attentato per mano dei soliti fascio-golpisti.
Il 9 novembre torna finalmente in Patria Evo Morales, ex-presidente della Bolivia spodestato col golpe filo-statunitense nel fine-2019. Dopo aver patito per un anno in esilio – mossa che è stata saggia seppur poco eroica simbolicamente [nostro articolo scritto nel 2019 appena dopo il golpe] –, tra l’altro impossibilitato dal dare un ultimo addio alla propria sorella deceduta mentre lui stava in Argentina, Evo torna nel proprio Paese andino; sarà accolto da una immansa folla dalle dimensioni storiche [video impressionante pubblicato da Redfish stream]. Dopo aver visitato la propria umile casa nativa, si ritirerà in un villaggio. Senza alcuna guardia e alcuna protezione, se non i cittadini autogestiti, sarà vittima di un attentato da parte di un altro fascio-golpista, un ex-sindaco che aveva partecipato al golpe violento del 2019.
Il 26 novembre “torna in gioco” l’India, con lo sciopero nazionale indetto, tra i tanti, dalle 10 più grandi sigle sindacali, che porterà per la seconda volta nello stesso anno – e l’ennesima nel giro di pochi anni – a battere il record dello sciopero più grande che sia mai stato fatto: circa 250 milioni di lavoratori (qualcuno parla di 300 milioni), praticamente quasi tutti agricoltori, che hanno lasciato gli attrezzi per terra e hanno preso in mano la bandiera rossa; rendendo l’India, di fatto, il Paese (non ancora socialista) con più coscienza di classe al mondo.
Vengono tenute le elezioni legislative il 6 dicembre in Venezuela, con un afflusso minore al solito per via del covid e per via della tendenza dei cittadini venezuelani a votare più che altro le presidenziali, essendo la loro una Repubblica appunto presidenziale; vincerà di nuovo il PSUV con a capo Maduro, mentre l’opposizione di destra filo-americana si è rifiutata di partecipare, finendo per piagnucolare brogli, con Guaidò che, lacrimando, indisce elezioni online stile movimento 5 stelle, con solo la combriccola lui come candidata – elezioni che non considererà nessuno. Eppure ecco qui, che il 26 dicembre si ri-autoproclama presidente del Venezuela; senza esser arrestato da alcuna forza dell’ordine, come dovrebbe invece succedere in qualunque Paese normale. Non stiamo qui a elencare tutte le buffonate fatte dal burattino filo-nazi-americano – la più divertente forse la volta che provò a scavalcare la ringhiera del parlamento –, in quanto ci sarebbe da fare una “timeline” come questa che avete letto solo ed esclusivamente per lui.
Guatemala: ghigliottina posta davanti al Congresso durante le massicce proteste Guatemala: Congresso dato alle fiamme per le sue politiche austeritarie, specialmente sulla sanità Indonesia: proteste contro la legge “omnibus” Indonesia Filippine Sudafrica Ecuador Ecuador Francia: contro il liberismo e la legge sulla sicurezza di Macron, volta a difendere le forze dell’ordine, che non possono più essere filmate Francia Francia Perù: proteste contro il governo golpista, che ha spodestato (il corrotto) Vizcarra facendo finire a governo un autocrate peggiore Israele Israele Colombia
Insomma, il 2020 è stato oggettivamente un anno piuttosto negativo sotto quasi tutti gli aspetti. Eppure è dalle crisi che nascono le rivolte, le rivoluzioni. Questo è stato anche l’anno della continuazione delle rivolte iniziate già dal 2019 od oltre, in Cile, Ecuador, Colombia, Haiti, Puerto Rico, ma anche Francia e Spagna; ed ora Guatemala, Perù, India, Indonesia, Thailandia, Filippine, Sudafrica, Egitto, Iraq, Israele, e perfino, nel nostro piccolo, in Italia. È stato un anno duro per via del covid, ma le immagini del capodanno che si è tenuto a Wuhan non possono che darci un segno di speranza, e soprattutto un insegnamento: l’unica via per viver bene, per avere giustizia in questo disastroso mondo, è l’unione delle forze di tutti noi – lavoratori, oppressi –, e ciò è attuabile solo col Socialismo. Insomma, Socialismo o barbarie; e che sia questo anno che è appena arrivato prospero e da ricordare positivamente per i successi che i Popoli potranno avere nel scrollarsi di dosso le proprie catene.