DI VERONICA DURANTI

La crisi di governo innescata da Matteo Renzy non può, alla luce dell’anno trascorso e della situazione globale, essere considerata una contingenza. Tutto fa pensare, al contrario, che essa venga da lontano e precisamente da Washington.
Lo scontro tra Trump e Biden, tutto interno alla classe dominante, era però uno scontro che aveva come oggetto l’ultimo baluardo della possibile emancipazione delle masse lavoratrici, e cioè lo stato nazionale. Lungi dall’essere difeso per gli stessi fini, una eventuale vittoria di Trump avrebbe lasciato aperto uno spiraglio e soprattutto avrebbe lasciato vivo lo scontro tra le due fazioni, a tutto vantaggio di quelle forze che, in quello scontro avrebbero potuto inserirsi.
Non solo. Il tipo di capitalismo e di struttura sociale non sarebbe variata di molto nel breve termine e ciò avrebbe consentito alle forze politiche di studiare e di riorganizzarsi di fronte ai cambiamenti che ci attendono in un futuro non molto lontano, dei quali durante l’emergenza Covid ci hanno dato un piccolo assaggio e che è dettagliatamente contenuto e spiegato nel progetto disumano e disumanizzante del Grande Reset.
Uso la parola disumanizzante perché è proprio la natura e l’essenza umana che è oggetto di rivoluzione nelle menti perverse degli ideatori del Grande Reset.
Questo è un progetto che era stato avviato da tempo, è vero. Ma è vero anche che in certi contesti di non facile comprensione tanto per le masse quanto per quelle forze che dovrebbero guidarle qualche anno in più per organizzare la resistenza a certi mutamenti antropologici epocali non sarebbero certo inutili.
Quindi, il Grande Reset ci sarebbe stato anche con Trump? Sicuramente sì, ma avrebbe dispiegato i suoi effetti su un arco temporale tale da permettere di fronteggiarlo.
Quello che è successo invece con la vittoria di Biden è stata (e credo sarà) l’accelerazione esponenziale del processo in atto (dato per finito il conflitto interclasse) provocando un spiazzamento e uno stordimento totale nella popolazione, già psicologicamente provata da un anno di epidemia.
Ma l’effetto più grave sono le conseguenze che avrà sulle forze politiche antisistema che non sono assolutamente pronte per la comprensione e l’adattamento a questa nuova guerra dichiarata dalle élite alle masse lavoratrici.
La crisi si inserisce proprio in questo contesto, è il sigillo italiano sul nuovo assetto di potere mondiale. Renzy ha di fatto provocato un terremoto per vedere quanti sarebbero caduti al di là e quanti al qua della linea che divide nettamente il macabro futuro che ci attende e il passato, non meno ingiusto, pur sempre capitalista e neoliberista, ma più facile da cambiare.

Il mutamento antropologico che ci attende è epocale, non attiene alla mera sfera economica ma all’essere umano nel suo complesso, come individuo e come specie. Non saranno più sufficienti le categorie a noi oggi note e quello che c’è da aspettarsi in questo caos, più che la nascita dei mostri di Gramsci è la scomparsa delle lucciole di Pasolini.
Molte lucciole scompariranno e moltre altre non riconosceranno l’acqua inquinata e lentamente entreranno far parte dell’ingranaggio del mondo nuovo.
Estraendole dal contesto le parole di Pasolini spiegano perfettamente la natura della situazione che stiamo vivendo. 

“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.”

“La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla “fase delle lucciole” alla “fase della scomparsa delle lucciole” senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una “normale” evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.”

“Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient’altro che il luttuoso doppiopetto.
Tuttavia nella storia il “vuoto” non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il “vuoto” di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l’intera nazione. Ne è un indice ad esempio l’attesa “morbosa” del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di “sostituire” il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l’Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste “teste di legno” (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l’artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la “truppa” sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le “teste di legno” hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il “vuoto” (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell’Italia: perché non si tratta di “governare”). Di tale “potere reale” noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali “forme” esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l’hanno preso per una semplice “modernizzazione” di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola.”
(Corriere della Sera, 1 febbraio 1975)