di Eros R.F.

Putin è un santo? Ovviamente no, ma sicuramente non è così imbecille da avvelenare un politico come Navalny.
Oggi dovremmo necessariamente parlare di questo Aleksey Navalny, “Il più famoso e influente oppositore di Vladimir Putin” – così l’hanno chiamato! per davvero! [qui un articolo de Il Post, una delle tante testate che l’hanno definito così] – “avvelenato” all’aeroporto di Tomsk.
Ma andiamo con ordine:

La triste vita da burattino: tutti i fallimenti

Partiamo da una piccolezza che ha comunque influenzato in maniera inevitabile la vita e quindi la visione politica del piccolo burattino: Aleksey, nato il 4 giugno del 1976, è figlio di Anatoly, proprietario di una fabbrica di cesti nei dintorni di Mosca, un soldato di origini ucraine che si è da sempre dichiarato “più ucraino che russo!”.
Nel 2013, non a caso, lo stesso Navalny ammetterà di sentirsi, per via delle sue radici paterne, più ucraino che altro. E non sono solo radici, in quanto ancora oggi Aleksey ha rapporti con una cerchia di golpisti come lui, presenti in Ucraina, come ad esempio la cugina Marina Navalnya, che è una deputata nell’Ucraina post-majdan [articolo di LB.ua].

Le ambiguità iniziano a palesarsi già nel 2005, quando fa ufficialmente ingresso nel mondo della politica russa co-fondando il partito “Alternativa democratica”.
Un anno dopo, precisamente il 30 novembre del 2006, l’ambasciata statunitense con base a Mosca invia a Washington DC un documento riservato, redatto dall’allora capo dell’unità politico-militare dell’ambasciata Colin Cleary. Quest’ultimo è un diplomatico statunitense non indifferente, specializzato al Rockefeller college of public affairs nello Stato di New York, storico istituto di formazione per diplomatici dell’impero atlantico. Il documento, come già detto di natura riservata, viene quindi reso pubblico ed accessibile da WikiLeaks [documento in questione]. Riassumendone il contenuto, possiamo dire che si tratta di un resoconto, un report sui movimenti politici giovanili presenti in Russia, divisi in due categorie, le organizzazioni finanziate dal governo, e quelle con base ideologica, questi ultimi vengono a loro volta divisi in tre categorie: i nazionalisti e gli skinhead xenofobi (sciovinisti, nazi-fascisti); quelli definiti “democratici”, a cui il report presta attenzione col fine di utilizzarli per una qualche “rivoluzione arancione” o “colorata”; e i comunisti.
Proprio tra i movimenti “democratici” spicca il partito di Navalny, “Alternativa democratica”, il cui stesso documento sopracitato, nel punto 7, testimonia il legame con gli Usa: “[Gaidar] ha ricevuto finanziamenti dalla National Endowment for Democracy [NED], un fatto che lei non rende pubblico per paura di un apparenza compromessa da connessioni con l’America [gli Stati uniti]”. “Alternativa democratica” è infatti finanziata dalla ong americana “NED”, finanziata a sua volta dal Congresso statunitense. Ciò non è assolutamente un finanziamento nascosto, ed è anzi fatto alla luce del sole [da come si evince nel sito ufficiale nella sezione informativa]. Ci domandiamo a questo punto: cosa accadrebbe se in occidente un partito venisse finanziato esplicitamente dalla Russia? (Tralasciando riferimenti alla Lega, di cui non si hanno prove concrete a riguardo). Sarà ancora definito col semplice appellativo vuoto come “oppositore”? O sarà considerato un traditore della Patria, al soldo dello “straniero”?

Non possiamo non notare come la prima partner politica di Aleksey sia anch’essa ambigua: la moldava Natalia Morari, legata, tra le tante cose, a varie organizzazioni “non governative” finanziate da Soros – responsabile non di complotti relativi all'”estinzione della razza europea” come certi destronzi in preda al delirio dicono, ma di supporto ad interventi imperialisti, spesso bellici, in vari Paesi sovrani del mondo, come ad esempio la Jugoslavia –, è stata poi espulsa dalla Russia nel 2007 con tanto di condanna al divieto d’acceso. Impossibilitata nel creare scompiglio in Russia, inizia a diffondere caos nel proprio Paese, appunto la Moldavia, dove è riuscita a scatenare violente proteste in occasione delle elezioni parlamentari del 2009, dove vinse il Partito dei Comunisti.
Quest’ultimo tra l’altro, tralasciando il nome, è addirittura di natura socialdemocratica ed era anzi disposto ad intrattenere relazioni con l’Unione europea e addirittura con la Nato; nonostante ciò, le sue ancor più strette relazioni con la Russia e le sue politiche economiche a favore di un forte Stato sociale con tanto di nazionalizzazione di vari settori produttivi “chiave”, hanno naturalmente posto lo scomodo Partito nel mirino delle potenze occidentali. Queste proteste fomentate dalla abile strategia della Morari, che ha puntato molto sulla macchina propagandistica sui social – come fanno anche Guaidò, Tikhanovskaya e Navalny –, costrinsero il presidente neo-eletto Voronin – cittadino della Transnitria – a dimettersi, cedendo il posto al presidente ad interim Ghimpu, del partito liberale, che aveva preso un misero 13% contro il 49% del PC.

Tornando su Navalny; dopo poco tempo si spostò entrando nel Partito “Yabloko” (“la Mela”), storico movimento di riferimento di tutti i liberali russi già dagli anni ’90. Nel 2007 è stato espulso da Yabloko per “simpatie di estrema destra”. Su quest’ultima dichiarazione torneremo più avanti a parlarne.

Cacciato a calci nel sedere dal partito liberale più importante in Russia, corre a leccare la scarpa sporca di sangue a Maria Gaidar, figlia di Egor, particolarmente odiato in Russia per via del ruolo ricoperto durante la presidenza Eltsin, che gli ha permesso di privatizzare il privatizzabile (e oltre). Falliti tutti di nuovo, Maria Gaidar se ne va via dalla Russia, (tanto i capitalisti non hanno Patria), per fare carriera politica nell’Ucraina post-majdan, dove diventa consigliere del presidente Petro Poroshenko, fino appunto al suo fine mandato, nel 2019.

Nel 2008, con il suo partito “Narod” (“Popolo”), si allea con i partiti neonazisti “Velikaya Rossija” (“Grande Russia”) e il movimento contro l’immigrazione illegale. Torneremo in seguito su certe campagne razziste di “Narod”.

Negli anni a seguire continua a intrattenere relazioni con i suoi burattinai d’oltreoceano, per poi essere invitato, una volta laureatosi in giurisprudenza a Mosca, dagli Stati uniti, con una borsa di studio – la “Yale World Fellows” (un programma dell’università che punta alla formazione di futuri leader in tutto il globo; lo dicono loro stessi, non stiamo accusando). Nello stesso anno dunque, 2010, Aleksey trascorre 6 mesi all’università di Yale, dove viene formato e plasmato. Per chi non lo sapesse già, l’università di Yale è celebre per aver “sfornato” diversi politici stranieri al succube servizio degli Stati uniti, tutti, o quasi, coinvolti nelle varie “rivoluzioni colorate” a cui il mondo ha purtroppo potuto assistire dall’ultimo secolo; esistono attualmente 291 “fellows” (cioè selezionati) appartenenti a 87 Paesi [Citiamo diversi esempi di politici che si son formati a Yale: i statunitensi John Bolton, entrambi i Bush, entrambi i Clinton, Joe Lieberman, Stravos Lambrinidis, Mario Monti, Ernesto Zedillo, e moltissimi altri].
Oltre a tutto ciò, è da far notare che fu ospitato come relatore addirittura al Congresso degli Stati uniti. Insomma, possiamo dire che l’impero nordamericano aveva già preso sotto ala il piccolo Navalny.
Aprendo inoltre una ulteriore parentesi sulla borsa di studio che Navalny ha ottenuto, possiamo dire che essa sia organizzata ed indetta dal “Greenberg World Fellows Program”, giungendo alla semplice conclusione che i legami di Navalny non si fermano alla semplice istituzione “di facciata” degli Stati uniti – cioè il Congresso –, ma vanno ben oltre, legandolo strettamente alla CIA. Maurice Raymond Greenberg, che come avrete capito dal cognome è colui che ha fondato e gestisce ancora oggi il programma di borse di studio di cui stiamo parlando, è stato l’amministratore delegato del colosso delle assicurazioni American International Group, oltre ad esser stato direttore della Federal Reserve Bank, fondatore del Centro Maurice Greenberg per studi giudaici – strettamente legata, ovviamente, ad Israele –, candidato direttore della CIA, partecipante abituale del club Bilderberg [qui come esempio le liste dei partecipanti nell’edizione dell’89 e del ’90, a cui Greenberg partecipò tra i tanti altri nomi: lista dell’89 e lista del ’90], membro del Council of Foreign Relations [sito ufficiale del CFR], ed infine capo della Commissione sulla politica degli Stati uniti nei confronti della Federazione russa.
Nell’83, sul New York Times, l’allora direttore della CIA William Casey confidò che Greenberg era uno dei suoi più stretti collaboratori e fidati consiglieri [intervista del New York Times]; cosa che fece irritare non poco Maurice, in quanto il suo ruolo doveva rimanere quello di agente che operava dietro le quinte, senza esser accostato esplicitamente con la CIA, ed è appunto per questo che rifiutò la direzione dell’agenzia propostagli da Ronald Reagan.
Un altro membro della CIA si esporrà pubblicamente su Navalny affermando chiaramente il ruolo che gli USA hanno assegnato al burattino, da come vedremo in seguito.

Nel settembre del 2012 Navalny finisce per farsi male da solo con una aspro dibattito in cui si scontrava col deputato della Duma Andrei Isayev, di Russia unita. Aleksey cerca di stuzzicare il deputato, ma le domande procatorie che fa gli si ritorcono contro, con Andrei che, controbattendo, gli domanda che ideale politico segua – liberale, nazionalista, ecc. –. Navalny “risponde” affermando di essere “un cittadino responsabile della federazione russa”. Una risposta che non dice nulla, insomma, al che Isayev gli dice che “in tal caso, ti piacciono gli Stati uniti, e ciò ti fa rimanere a galla in qualsiasi movimento”, cioè sia esso liberale o nazionalista, a seconda delle necessità opportunistiche. A questo punto Isayev va più a fondo, e gli chiede chi abbia pagato la sua borsa di studio all’università di Yale. Navalny rimane pietrificato e, come una macchinetta, ripete la risposta che aveva dato alla prima domanda e a qualche altra prima ancora di essa: “mi considero un cittadino responsabile della federazione russa”.
No comment, insomma. Da qui il poco consenso che aveva scenderà drasticamente, e servirà tempo affinché la gente si dimentichi dello scivolone e dei suoi legami con gli Usa.

Nel 2013 i due Navalny – Aleksey e suo fratello Oleg – vengono arrestati per frode ed appropriazione indebita di 250mila euro nella gestione dell’azienda statale “Kirovles”, incentrata sulla produzione di legname.
Aleksey viene quindi condannato agli arresti domiciliari, mentre il fratello viene condannato a 3 anni e mezzo di carcere. Tuttavia, il 18 luglio dello stesso anno il tribunale pronuncia il verdetto, riconoscendo la colpevolezza dei due, condannando quindi Navalny a 5 anni di pena, per poi pronunciare definitivamente la sentenza il 16 ottobre, sospendendo la pena. [articolo di Lenta; articolo di Ria Novosti; articolo di AiF]

Sempre nel 2013, riuscendo a strumentalizzare questo scandalo spacciandolo per indiretta repressione politica verso la sua figura, Navalny raggiunge il picco della propria carriera, prendendo il 27,2% e arrivando quindi secondo alle votazioni per l’elezione del sindaco di Mosca tenute l’8 settembre.

Nel novembre del 2013 Aleksey diventa segretario del “partito del progresso”, che verrà rinominato poi nel 2018 in “partito del futuro”.

Il 16 novembre dello stesso anno, per via dell’entrata in vigore della sentenza del “caso Kirovles”, Navalny viene privato dello status di avvocato [articolo di Pravo].

Il 20 marzo del 2014 pubblica un articolo sul New York Times, in cui chiedeva vigliaccamente ad USA ed UE ulteriori sanzioni verso proprio Paese, come “punizione”, “ritorsione” per i fatti riguardanti la crisi di Crimea e l'”annessione” (fatta con un referendum) di questa da parte appunto della Russia, mossa non tanto piaciuta dall’occidente.
Chiaramente sottolineò che le sanzioni sono dirette ai funzionari e alla cerchia di Putin, ma di fatto le sanzioni minano sempre il popolo – come sempre è stato e come sempre sarà, in tutti i Paesi in cui tali sanzioni sono state attuate –, e mai gli oligarchi che ne stanno a capo.
Si schiera dunque insieme al partito di estrema destra “Parnas” di cui faceva parte, opponendosi ufficialmente al referendum popolare della Crimea e alla sua consequenziale annessione alla Russia.

battaglione Azov, golpisti che hanno contribuito a spodestare il governo e scatenare il majdan, oltre alla successiva guerra in Donbass

Tra il 2014 e il 2015 sostiene quindi, in quanto convinto nazista, la majdan ucraina, perdendo praticamente tutto il consenso che si era guadagnato in Russia, che avevano creduto almeno in parte alle sue parole per via della sua lotta (retorica) contro la corruzione. In Russia, infatti, così come in Bielorussia, la popolazione ha bene o male impressa nella mente la tragica fine che ha fatto l’Ucraina, e da allora l’odio verso l’occidente è andato via via ad aumentare: quasi nessuno, in Russia, voterebbe un traditore che ha supportato il golpe neonazista e filo-usa (ed anti-russo), che ha avuto piede nel vicino Paese.

Dal 2014 circa, quindi, Navalny è politicamente morto, e diversi analisti già da anni hanno addirittura affermato che la sua figura è oramai inutile per i suoi finanziatori occidentali, e che è anzi più utile da morto che da vivo. Anche per questo le autorità russe hanno offerto ad Aleksey una scorta pagata dallo Stato, invece delle guardie private che, non essendo pagate direttamente da Navalny ma dai suoi finanziatori, avrebbero potuto farlo fuori in qualsiasi momento dando poi la colpa al governo russo.
Proprio un Paese in cui vige il despotismo la Russia! Un politico già finito in prigione per possessione illecita di quintali di banconote, pagato da un avversario geopolitico, e che si autoproclama vincitore nelle elezioni, che gira per il Paese a portare caos senza che nessuno lo fermi. Stesso discorso possiamo fare al Venezuela – le similiarità, sotto questo punto di vista, come possiamo vedere, sono molte. Tuttavia la sua folle storia non finisce col 2014, ma dovranno passare un po’ di anni affinché la gente si dimentichi di quanto Aleksey – un soggetto poco conosciuto fino ad ora – sia ridicolo ed ipocrita.

Alle elezioni parlamentari del 2016 non riesce a parteciparvi per via dei pochi voti che ricevette per la candidatura. Per avere tuttavia un … di misurazione, possiamo citare due partiti liberali a cui Navalny ha fatto parte: “Yabloko” e “Parnas”, che hanno preso rispettivamente 2,04% e 0,74%. Contando che Aleksey era a quei tempi piuttosto vicino a Parnas, possiamo affermare che il consenso che aveva presso la popolazione era dunque minore a quel 0,74%, rappresentato prevalentemente da Michail Kasyanov, leader del partito.

Nel febbraio del 2017 la commissione elettorale attiva i propri lavori in prossimità delle elezioni del 2018, ed analizzando il caso Kirovles, in virtù del fatto che le leggi russe impediscano ad un condannato di tali reati di partecipare alle elezioni presidenziali (così come avviene anche, in certi casi, da noi e in gran parte dei Paesi occidentali), viene negata a Navalny la possibilità di candidarsi il successivo anno.

Navalny parte quindi all’attacco, organizzando manifestazioni “anti-corruzione”, fatte illegalmente.
Verso la fine di marzo, infatti, il tribunale di Mosca lo sottopone ad un arresto amministrativo, cioè una detenzione breve, per 15 giorni, a causa di disobbedienza di Navalny verso agenti di polizia durante una manifestazione, quest’ultima già illegale di suo. Per via della manifestazione non autorizzata, Navalny riceve (prima dell’arresto) una multa di 260 euro [articolo di Rbc].
Questa manifestazione fu indetta da Navalny, questo propose un percorso surreale ed infattibile, sapendo che non sarebbe stato accettato dalle autorità, e invitando inoltre in particolar modo minorenni via social, rendendoli quindi forzatamente partecipi di un azione illegale. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov ha affermato: “Si è trattata evidentemente di una provocazione e sappiamo con certezza che gli organizzatori della manifestazione, tramite internet hanno promesso denaro a tutti coloro avessero aderito alla manifestazione non autorizzata ed in un luogo vietato alle manifestazioni. Ciò ha avuto effetto principalmente su ragazzi minorenni.”

Il 12 giugno dello stesso anno viene arrestato di nuovo, stavolta per 30 giorni (poi ridotti a 25). Stavolta la storia è alquanto folle; non che non lo fossero anche gli altri episodi sopra riportati. Aleksey infatti andò oltre l’immaginabile, proponendo non un luogo semplicemente vietato, come aveva già fatto precedentemente, ma richiedendo anzi la concessione del corso Tverskaya, e cioè la via, l’arteria principale di Mosca – la città più grande d’Europa –, solo per una manciata di persone, con una partecipazione stimata di poche migliaia di manifestanti. Tutto ciò, poi, proprio la prima domenica di primavera, e cioè nel pieno della settimana di vacanze, in cui giustamente migliaia, milioni di famiglie viaggiano di città in città per questo breve stacco dalla vita monotona. Non solo; questa folle richiesta venne addirittura inoltrata alle autorità neanche ad una settimana di distanza dall’evento, rendendo non solo stupido bloccare una via così importante per una manciata di persone, ma anche impossibile nella pratica.
In alternativa le autorità proposero due opzioni: il Parco Sokolnik – un area enorme e spaziosa, capace di contenere un milione di persone – o l’Academician Sakharov Prospect – una larga via che può contenere decine di migliaia di persone. Nonostante la disponibilità offerta, insomma, Aleksey e i suoi vicini co-organizzatori optarono per l’impossibile, scegliendo comunque di fare la manifestazione nel corso Tverskaya, postando e facendo massiccia pubblicità su internet cercando di adunare più gente possibile.
In questa occasione i media occidentali sono subito accorsi da Navalny, gridando alla repressione politica e alla violazione dei diritti umani (!), ignorando ovviamente il fatto che in tutto il mondo (sottolineiamo: in tutto il mondo) le manifestazioni vanno autorizzate presso l’istituzione pubblica competente, e nel caso questa non venga autorizzata, o nel caso alcuna richiesta venga neanche presentata a tali istituzioni, le autorità possono tranquillamente multare e, nel caso peggiore, mandare l’interessato in tribunale e farlo finire in cella. [articolo di Lenta; articolo di Interfax; articolo di News Ru; articolo di Meduza].
“Un affronto ai valori democratici fondamentali” lo ha definito il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, chiedendo imperativamente l’immediato rilascio del loro caro agente e dei suoi amichetti – perché dopotutto 25 giorni di detenzione sono ben più duri ed ingiusti confronto a 175 anni imputati ad un giornalista.
E non poteva mancare l’intervento di Federica Mogherini, rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, che ha ovviamente condannato il governo russo, in quanto “impedisce l’esercizio delle libertà fondamentali di espressione, associazione e assemblea pacifica”.

Il 29 settembre dello stesso anno Aleksey viene di nuovo arrestato, in quanto stava per partecipare (di nuovo) ad una manifestazione non autorizzata [articolo di Meduza; articolo di Tass].

Avrà la stessa sorte del 2017 alle elezioni presidenziali del 2018, dove non riuscirà, di nuovo, a candidarsi. Yabloko scende di consensi, prendendo un misero 1,05%, mentre l’esponente liberale che ha preso più voti, Ksenia Sobchak, senza alcun partito di appartenenza, ha preso l’1,68%.
Si immagini quindi che misera parte avrebbe potuto avere Navalny, i cui voti dei sostenitori si sono riversati in questi pochi e piccoli esponenti liberali.

Nel novembre dello stesso anno la Corte europea dei “diritti dell’uomo” condanna la federazione russa a risarcire Navalny con 50.000 euro per “danni morali”, 1.025 euro per “danni materiali”, e 12.653 euro per le spese che ci sono dovute pagare per gli arresti subiti “ingiustamente”.

Nel 2019, in occasione delle elezioni per la Duma di Mosca, si inventa un escamotage, che chiama, stupidamente, “voto intelligente”. Sapendo che avrebbe preso meno dell’1%, decide di non partecipare, e invita tutti i propri elettori a votare per il candidato che avesse più possibilità di battere il partito maggioritario e più popolare, cioè “Russia unita” (partito a cui fa parte lo stesso Putin). Insomma, una strategia simile a quella utilizzata anche dal triste burattino Guaidò in Venezuela.
Rimarrà deluso dall’ovvio risultato, con una vincita dell’opposizione comunista, con un vantaggio minimo confronto a Russia unita, con rispettivamente 33,4% e 33,1%. Non è ovviamente l’opposizione liberale che voleva lui. Anzi, a seguire troviamo socialdemocratici al 12,8% e nazionalisti al 9%, che hanno entrambi rifiutato il supporto compromettente, goffo e ridicolo di Navalny.
Quest’ultimo però, con un colpo di genio, si ispira al suo stretto camerata Guaidò, autoproclamandosi vincitore delle elezioni con il 67%, e cioè la somma di tutti i voti che non sono andati a Russia unita.
Ovviamente nessuno ha mostrato particolare attenzione verso la cretinata ridicola e imbarazzante che si è inventato Navalny, ma qui in occidente, a quanto pare – forse perché i nostri media sono più aguzzi nell’intelligenza –, hanno legittimato le sue denunce contro la logica delle elezioni, scrivendo sul serio che ha vinto col 67% dei voti, e che il governo di Putin ha ingiustamente usurpandoto la sua vittoria. Ancora oggi Wikipedia, ad esempio, conferma implicitamente la vincita di Navalny e del suo sistema del “voto intelligente”.

Sempre nel 2019 sostiene il candidato e futuro vincitore delle elezioni in Ucraina Volodymir Zelensky, convinto filo-Nato, non si fa problemi nel supportare le derive nazi-fasciste dei vari movimenti ucraini – anche armati e in guerra nel Donbass, oltre che presenti massicciamente oramai in moltissime città ucraine, con manifestazioni e marce commemorative in memoria di soldati delle SS.

Nel 2020 supporta, ovviamente, le proteste con sfondo neofascista fomentate dall’occidente nella democratica Bielorussia, dove si autoproclama presidente la Tikhanovskaya. Le proteste e la burattina, collega di Navalny e Guaidò, non hanno per niente successo – a differenza di ciò che cercavano di farci pensare in occidente. Sorte simile avrà con molta probabilità Navalny in Russia, ma il pericolo è sempre presente.

un Navalny sorridente durante la “marcia russa”, con le bandiere zariste sventolanti.

Il nazi-fascista amico de “LEUROPA”

Se si ha un minimo di raziocinio si capirà dunque che Navalny è tutt’altro che il “principale oppositore di Putin”, visto che tra il suo gruppetto e Russia unita troviamo prima una miriade di partiti, giustamente, con più seguito. Primo tra tutti è ad esempio il КПРФ, cioè il Partito comunista della federazione russa, che è storicamente il secondo partito più grande del Paese, e che si aggira sul 13-20%; poi i nazionalisti del ЛДПР, tutt’altro che filo-ue e filo-nato, che si aggira tra il 7 e il 15%; o i socialdemocratici de La Russia giusta, che si aggirano tra il 5 e il 15%.
Insomma, tutti partiti che si distaccano di molto dall’1% dei liberali (per non parlare dei fascisti come Navalny, ripudiati anche da una fetta non indifferente dei liberali stessi, come detto prima).

Parlando delle idee politiche di Navalny, possiamo dire che le accuse con cui il partito “Yabloko” l’ha espulso non sono affatto infondate.
Si tende spesso ad accostare Salvini a Putin, ma per dirla tutta – e i “democratici” se ne dovranno fare una ragione –, il politico russo a cui più è vicino ideologicamente è senza alcun dubbio Navalny.
Possiamo infatti ricordare vari episodi ambigui e controversi che ci faranno avere una chiara idea sul pensiero di Aleksey.

Nel 2005 iniziano a svolgersi le “marce russe”; si tratta di marce di natura fortemente sciovinistica, xenofoba e con moltissime componenti nazi-fasciste e di nostalgici zaristi. Migliaia di bandiere nero-giallo-bianche, cioè il colore dell’impero russo, appunto. Tra questi discutibili manifestanti troviamo naturalmente Navalny, che non si vergogna minimamente di andare sul palco e fare il proprio discorso a sostegno della manifestazione, della difesa dell’etnia russa, e contro i caucasici, “finti russi” ed islamici. Ovviamente tutto ciò nel pieno dell’illegalità, in quanto la manifestazione era non autorizzata. L’anno dopo si svolge di nuovo la marcia, anche stavolta illegalmente e con Navalny che si esporrà pubblicamente denunciando il governo, che “reprime la libertà di espressione”. La marcia continuerà a svolgersi ogni anno, e Aleksey figurerà perfino tra gli organizzatori. Nel video di “VoxKomm” che riportiamo di seguito troviamo tra le diverse cose anche la esplicita posizione di Navalny, con i titoli dei giornali occidentali di allora (che ora lo definiscono un liberale e un democratico comparabile a Nelson Mandela) – la ciliegina sulla torta: video in questione.

Nell’agosto del 2008 supporterà la federazione russa nel conflitto con la Georgia riguardo la questione dell’Ossezia, aggiungendo, però, che vadano espulsi senza distinzione tutti i georgiani (usando tra l’altro un termine razzista) dal territorio russo.

E l’odio verso i caucasici non si ferma con i georgiani. Si spinse infatti a proporre di deportare tutti gli immigrati “clandestini”, di usare il pugno di ferro con i caucasici, che non sono “etnicamente russi”, che vadono difesi questi ultimi dalla barbarie caucasica ed islamica, ecc.
Nel 2011 continua la sua lotta contro i “terroni russi”, lanciando la campagna “basta nutrire il Caucaso!”, volta a bloccare i sussidi che la federazione russa versa alle varie repubbliche del Caucaso meridionale, considerati da Navalny “corrotti”, “incapaci” e, come vedremo più avanti, composti da “scarafaggi”, “non-russi” – campagna che promuoverà anche sul palco della “marcia russa” di quell’anno. Insomma una campagna comparabile, se non peggio, a quella portata avanti in Italia dai sovranari del centro-destra, che vogliono un autonomia fiscale fortemente decentralizzata, a discapito del sud della penisola.
Oltre a ciò, Aleksey propose più volte di chiudere i confini col centro asia per “evitare criminalità organizzata su base etnica” e, ancora, per “difendere l’etnia russa”, reintroducendo l’utilizzo della visa.

Nel 2013 scoppia una rivolta reazionaria nel quartiere moscovita Birjulëvo Zapadnoe, per via di un omicidio compiuto da un azero. Decine se non centinaia di nazi-fasciati organizzano raid punitivi contro negozi ed abitazioni di cittadini di etnia od origine azera. Navalny, senza peli sulla lingua, si schiererà dalla parte dei violenti razzisti, giustificandoli dicendo che quelli colpiti dopotutto erano “orde di immigrati clandestini” [video-servizio sui raid fascisti avvenuti in questa triste occasione].

Cosa ne penserà l’opposizione russa? Prendiamo come esempio Engelina Tareyeva, una esponente del partito liberale Yabloko, da cui Navalny è stato cacciato nel 2007. Dichiara: “Considero Aleksey Navalny l’uomo più pericoloso in Russia. Non serve esser un genio per capire che la cosa più orrenda che potrebbe capitare al nostro Paese sarebbe avere i nazionalisti a potere”.
Chiaramente Navalny minimizza, e, difendendosi, in una intervista tenuta a gennaio del 2013 afferma che attuare politiche a difesa dell’etnia russa non necessariamente porta al nazismo, e che la comparazione al regime hitleriano è campata ad aria.

Ovviamente gli Stati uniti, che lo manovrano direttamente, lo difendono. Paul Goble, esperto di relazioni con la Russia, ad esempio, afferma che l’opposizione liberale ha fallito nell’ottenere il supporto nell’ex-Paese sovietico, e che Navalny ha ben colmato le criticità di queste opposizioni liberali, interessandosi dei problemi etnici – questo approccio, secondo l’espertone, dovrebbe a lungo andare avere successo nell’ottenere il supporto dei russi.
Insomma; ci sono ancora dubbi sulla natura nazi-fascista di questo liberale supportato dalle “democrazie” occidentali?

Circola una foto che ritrae diversi tatuaggi di stampo nazista sul corpo di Aleksey, ma è palesemente un falso. È tuttavia vera, e Navalny non la rinnega, la sua partecipazione a varie manifestazioni neofasciste e naziste, zariste ed imperiali; così com’è vero il fatto che abbia fino a pochi anni fa lanciato offese xenofobe e razziste verso le minoranze musulmane nel territorio russo, paragonando questi ai scarafaggi e facendo addirittura un video per il suo partito “Narod”, dove, “comicamente” e con un certo spirito americaneggiante, spara ad un islamico che goffamente gli stava andando incontro come fosse uno stereotipo terrorista, perché “mentre gli scarafaggi possono essere schiacciati con una ciabatta, per gli scarafaggi-umani suggerisco una pistola” [video in questione].

Direte voi: sono passati un po’ di anni; oramai potrebbe aver cambiato idea. Assolutamente no, e ci teneva a farcelo sapere in un intervista a Der Spiegel nel 1 ottobre 2020 dove, in una risposta ad una delle ultime domande, afferma: “Ho le stesse idee di quando ho iniziato la carriera politica”, e che le “alleanze” (in verità ne era organizzatore) con i neonazisti erano e saranno ancora necessarie per “unire il popolo russo contro il regime di Putin”.

Curioso come i media occidentali, fino al 2013 circa, consideravano Navalny sì un degno oppositore di Putin (pur non essendo vero), ma additandolo comunque di nazionalismo, accusando la sua partecipazione alle varie marce neonaziste [articolo de La Stampa del 2017].
Con che faccia ora i media occidentali si permettono di paragonare questa feccia neonazista a Nelson Mandela? [articolo de La Stampa del 2021].
(Abbiamo citato due articoli della stessa testata “giornalistica” per evidenziare l’immensa ipocrisia – e memoria corta – che abbaglia la mente dei media occidentali quando gli USA e la UE dettano questi l’agenda da seguire, ma di fenomeni paranormali simili se ne trovano a bizzeffe cercando accuratamente su internet; come fa ben notare ad esempio il tweet seguente, che evidenzia come il New York Times abbia drasticamente cambiato la narrativa negli anni: tweet a riguardo).

Il bikini con le svastichine

Navalny ripreso da una storia instagram, mentre beve il té in aeroporto.

È il 2020, il 20 agosto, e i nostri media, per via della famosa dote della chiaroveggenza, prima che Aleksey scendesse dall’aereo comunicarono in fretta e furia, con bava colante dalla bocca, che il “principale oppositore di Putin” era stato avvelenato. È la norma infatti che, quando un politico in aereo inizia a sentire forti dolori, tutti i notiziari comunichino che si tratta di un avvelenamento da parte del governo, già prima che l'”avvelenato” scenda dall’aereo. È logico insomma. Le analisi del sangue non servono; oppure avevano già il laboratorio dentro il bagno pubblico dell’aeroplano, no? Anzi, forse basta un video girato da un “qualunque”, che casualmente mostra la vittima bere un té prima di salire sull’aereo, come prova schiacciante; ah, ed ovviamente è normale che sia il video di Navalny che beve il té, e sia questo avere i dolori dopo esser uscito dal bagno chiamando aiuto, sia girato e pubblicato dallo stesso “qualunque”. Niente di strano, parlando di probabilità, no?

L’Europa grida istantaneamente allo scandalo. Com’è possibile che in un Paese civile un politico si sente male su un volo aereo? Roba da non credersi insomma. Servono delle sanzioni!
E come si permettono i russi a portare Navalny in ospedale? Lo uccideranno!
La Germania chiede dunque di ricevere il martire nazista nei propri ospedali. La Russia inizialmente nega, in quanto sarebbe rischioso, nelle condizioni precarie in cui stava, fargli fare ore di volo. La Germania grida all’assassinio. L’ospedale di Omsk nel frattempo fa i test, per provare o smentire la presenza di veleno nel sangue di Navalny. Nessuna traccia.
Riprendendo almeno in parte le proprie forze dopo circa 48 ore, Aleksey viene spedito in Germania, dove istantaneamente trovano novichok nel sangue.
Arrivato a Berlino, viene scortato in ospedale come se si trattasse del presidente degli Stati uniti, con varie ambulanze, auto private, abbellito da privilegi e una certa spettacolarizzazione delirante, forse anche peggio della scorta che c’è stata per trasportare la prima manciata di dosi del vaccino Pfizer – trattasi di lingotti d’oro da 15 euro a fiala [video della scorta che ha accompagnato Navalny all’ospedale di Berlino, pubblicato sul Washington Post].

Ora, è opportuno aprire una parentesi. Le opzioni sono principalmente tre: o la macchina propagandistica occidentale è messa così male che non ha più a disposizione esperti che siano capaci di sfornare notizie false ma verosimili e realistiche; o è stata scelta la sostanza tossica che più richiama foneticamente alla lingua russa, giusto per prendersi gioco della ignorante popolazione europea e russa; o Navalny ha gli stessi poteri sovraumani di Kim. Quest’ultima opzione è la meno probabile, non perché fantasiosa, ma perché Navalny a differenza di Kim non è socialista.
Innanzitutto il novichok è sì un agente nervino creato in Russia nel ’70, ma, dal crollo dell’Urss, è stato utilizzato ed è ancora prodotto indistintamente da tutti i Paesi, soprattutto dalla Nato. Sono infatti stati creati almeno 140 variazioni della tossina da più di 20 Paesi alleati degli Stati uniti (compresi), e sono stati questi ultimi, nel ’98, ad aver reso il novichok una sostanza prodotta e condivisa con i suoi alleati dopo la pubblicazione di questa da parte dell’Istituti nazionale di standard e tecnologia degli Stati uniti, sulla base di dati forniti dal Pentagono.
Oltre a ciò, il minustero degli esteri russo, in risposta alle accuse mosse dalla Germania, ha fatto ben notare come il possesso del novichok non sia coperto dalla Convenzione sulle armi chimiche, e che, a differenza di molti Paesi occidentali, la Russia ha distrutto tutte le armi chimiche in suo possesso nel 2017, sotto il “rigoroso controllo internazionale” supervisionato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW). Concludendo, insomma il “Novichok è un marchio occidentale”, “non ce l’abbiamo [più]” [articolo de L’Antidiplomatico]. Sono gli stessi occidentali che hanno spesso dichiarato che il novichok è “dieci volte più potente del sarin”.
Oltre a tutto ciò, Leonid Rink, professore di chimica che è stato direttamente coinvolto nella creazione del novichok, ha dato chiaramente conferma dell’impossibilità della ipotesi (o meglio accusa) del governo tedesco. Nel caso fosse stato utilizzato il novichik, “si troverebbe da molto tempo a riposare nel cimitero, lo stato delle cose è questo”; i sintomi sarebbero “completamente diversi”: “Ci sarebbero convulsioni e così via”. Anche i medici russi ipotizzarono l’utilizzo di sostanze tossiche: “La prima diagnosi dei nostri medici è stata allo stesso modo l’avvelenamento, ma hanno fatto iniezioni di antidoti e altre cose, senza ottenere risultati. Se questi “avvoltoi” pensano che i nostri non capiscano niente, allora pensano molto male”.
Insomma, la storia del novichok “è una sciocchezza completamente politica, assoluta”. È intervenuto esponendosi perfino Putin, che a metà dicembre ha senza peli sulla lingua dichiarato che sì, i servizi segreti com’è ovvio che sia seguivano attentamente le mosse di Navalny, in quanto pedina degli Stati uniti, ma che non c’era la necessità di farlo fuori, e che, soprattutto, se i “Servizi segreti avessero voluto farlo, probabilmente, avrebbero portato il lavoro a termine”.

Il 10 settembre interviene il vicepresidente statunitense Mike Pompeo, che dice esplicitamente che sia evidente la mano del governo russo nel tentato omicidio di Navalny.

Il 23 settembre la delegazione diplomatica russa, presso l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), chiede alla Germania la tanto attesa pubblicazione di tutti i dati relativi al presunto avvelenamento di Navalny – insomma analisi del sangue, campioni biologici, ecc.
La Germania, rispettando le sacre tradizioni dei nostri governi occidentali, si rifiuta di rispondere. Così come s’è fatto insomma con le “prove” delle presunte armi chimiche in Siria, delle armi di Saddam, Gheddafi, Milosevic, ecc.: nessuna prova, perché non esistono le prove di cui parlavano (e purtroppo si è “scoperto” a frittata fatta, ogni volta; un cliché). Per via di questa mancanza di dati che la Germania si rifiuta di dare, Aleksander Shulgin, inviato permanente dell’organizzazione a controllo delle armi chimiche e batteriologiche, fa notare come sia impossibile per i russi continuare le indagini sul caso Navalny, in quanto appunto i risultati delle analisi fatte quando Aleksey stava ancora sotto il controllo dei medici di Omsk non si son trovate tracce di sostanze tossiche [articolo di RT].
Ovviamente il circo non tarda a farsi sentire, e con la loro invidiabile arte dell’ipocrisia – incomparabile a quella di qualunque bugiardo al mondo –, l’ambasciatore USA a Mosca John Sullivan denuncia il governo russo: “Discussioni e negoziati sostanziali diventano difficili, a volte impossibili, quando il governo russo rifiuta di indagare sull’avvelenamento di un proprio cittadino di spicco con un composto al nervino proibito”.

Il 9 ottobre si espone pubblicamente l’ex-ufficiale della casa bianca ai tempi di Obama e, soprattutto, ex-direttore della CIA John O. Brennan che, in occasione dell’anniversario dell’uccisione di John Lennon, cita un verso del famoso brano “Imagine”, per dire “Immaginate prospettive di pace, prosperità e sicurezza nel mondo se Joe Biden fosse il presidente degli Stati uniti e Alexei Navalny predidente della Russia. Presto saremo a metà strada” (ancora non si erano svolte le elezioni in USA). Di pace e prosperità donata dagli Usa ne abbiamo avuto abbastanza, forse. [tweet in questione; articolo di Insideover a riguardo]

Il 10 ottobre il presidente-pagliaccio, come al solito, si fa scappare l’ennesima dichiarazione in cui ammette il ruolo degli Usa in una qualche ingerenza sparsa nel mondo. Vantandosi afferma infatti, stavolta, che è grazie a lui – parliamo di Trump, se non si è capito –, se l’America ha armato l’Ucraina dando del filo da torcere alla Russia e, non è da ignorare questo passaggio, “ho bloccato il north stream 2, per loro un danno da miliardi”.
Il north stream 2 infatti, anche se non è certa la sospensione definitiva del progetto, è stato messa fortemente in dubbio proprio per via del presunto avvelenamento di Navalny, e del successivo intervento statunitense che, con le sue pressioni, ha cercato di convincere la Germania a sospendere le relazioni commerciali con la Russia; che voleva dire Trump, allora, per “ho bloccato il north stream 2”? C’è altro oltre alle semplici pressioni? [articolo di Reuters sullo north stream 2 e il caso Navalny]

Il 20 dicembre la tesi del novichok ha una svolta. Una svolta che fa ridere a crepapelle.
Navalny non è stato avvelenato col novichok nel té (poi diventata bottiglietta dell’acqua), ma con del novichok spruzzato nel tessuto delle mutande! È questo ciò che è stato riportato (addirittura!) dal sito italiano di “fact-checking” – dicasi ministero della verità – “Open online”, una società fondata da Enrico Mentana e finanziata dalla Fondazione Cariplo, legata ad Intesa S. Paolo. Ovviamente la notizia non è partita da noi umili italiani, per fortuna, ma da Bellingcat – esatto, lo stesso Bellingcat a cui a capo troviamo Eliot Higgins, lo stesso Bellingcat che ha sfornato continue bufale sulla Siria di Assad, dai cecchini che sparano alle donne incinta, ai “barili bomba” lanciati dagli elicotteri [articolo di SibiaLiria].
Non solo, la storia del novichok spruzzato sulle mutande è stata già utilizzata in passato, con una narrativa perfino più surreale; parliamo del “caso Skripal”. Era il 2018, e Julia Skripal, figlia di Sergei, atterra all’aeroporto di Heathrow per poi, stando alla Scotland Yard, prendere ovviamente la valigia con gli indumenti, questi col novichok spruzzato tra i tessuti.
Il giorno dopo verso le 9 di mattina esce e, con questi indumenti (in particolar modo le mutande, stando ai media) pregni di novichok, va a pranzo col padre. Verso le 15 escono e vanno entrambi a sedersi su una panchina; qui, entrambi allo stesso tempo, si accasciano improvvisamente a terra. Così come Navalny, ovviamente, anche loro due sopravvivono. Su internet la gente comune inizia a farsi venire qualche dubbio: come può il veleno – tralasciando la particolare letalità del novichok – a fare effetto dopo così tante ore e, soprattutto, sia alla figlia che al padre, che non avrebbe dovuto indossare gli stessi indumenti presenti nella valigia della figlia? A questo punto, dopo 20 giorni, Scotland Yard sforna un altra ipotesi (perché le prove d’altronde non le trovano mai, quando sparano cavolate): il novichok non è stato spruzzato sugli indumenti, ma sul pomello della porta dell’appartamento. Ma in genere quando due persone escono di casa c’è bisogno che entrambi tocchino la maniglia? A questo punto Scotland Yard propone una terza ipotesi, senza provare vergogna e ritirarsi con la coda in mezzo alle gambe: il novichok è stato spruzzato nel sistema di ventilazione dell’automobile.
Con questa storia abbiamo la dimostrazione che i media occidentali non conoscono un fondo nel pozzo dell’ipocrisia (e della fantasia) [articolo de L’Antidiplomatico].
Tornando al nostro caro Navalny e alle sue mutandine; Aleksey, e la sua “collab” con Bellingcat (d’altronde hanno entrambi iniziato la carriera come blogger), hanno pubblicato una chiamata alquanto surreale. Per farla breve, Aleksey, spacciandosi per un certo “Maxim Ustinov” (personaggio inventato di sana pianta), chiama l’agente del Servizio federale per la sicurezza della Russia (FSB) Konstantin Kudryavtsev. Questo, stando alla telefonata dalla dubbia veridicità, afferma non solo che è vero che i servizi russi hanno tantato di uccidere Navalny, ma che in particolar modo il novichok è stato spruzzato sulle sue mutande, e che “ce l’avrebbero fatta se non fosse stato per quei ficcanaso” – insomma, una trama degna da episodio di Scooby-Doo. Ma è possibile che un agente non riconosca la voce della persona che dovrebbe uccidere? Navalny non avrebbe potuto far fare la chiamata a qualcun’altro? Ma soprattutto: davvero qualcuno è pronto a credere che un agente della sicurezza si metta a dire tutte le particolarità con cui è stato avvenuto un presunto avvelenamento ad uno sconosciuto che gli si presenta in chiamata? [articolo di southfront riportante la chiamata; tweet di Eliot Higgins in preda agli spasmi].

Usiamo inoltre un minimo di logica sulle modalità con cui si eliminano certi scomodi oppositori politici. Non viviamo più nel medioevo, e i veleni vengono oramai utilizzati davvero poco per questi fini, non tanto per la loro inefficacia quanto per la loro facilità nell’essere individuati o perfino tracciati.
Prendiamo come semplice esempio 15 soggetti alquanto scomodi all’occidente, che hanno avuto morti o sospette e presumibilmente collegati alla CIA, o palesemente uccisi per mano di agenti o sicari dell’occidente:
Camilo Cienfuegos (1959) – incidente aereo
Enrico Mattei (1962) – incidente aereo
Fred Hampton (1969) – omicidio
Olaf Palme (1986) – omicidio
Samora Machel (1986) – incidente aereo
Thomas Sankara (1987) – omicidio
Edoardo Agnelli (2000) – suicidio inscenato
Massoud (2001) – omicidio
David Rossi (2013) – suicidio inscenato
Gopinath Munde (2014) – incidente auto
Christophe de Margerie (2014) – incidente aereo
Udo Ulfkotte (2017) – infarto
Jeffrey Epstein (2019) – suicidio inscenato
Mario Paciolla (2020) – suicidio inscenato
Aleksey Markov (2020) – incidente auto
Dunque 4 omicidi, 4 incidenti aerei, 2 incidenti auto, 4 suicidi inscenati, 1 infarto. Tra l’altro considerando che gli aerei sono i mezzi civili i cui incidenti sono in assoluto i più improbabili…
Il veleno – quello facilmente individuabile (come il novichok appunto) –, insomma, oggi viene utilizzato praticamente per soli “false flag”.
Lasciamo stare il fatto che non sia stato novichok (perché, come spiegato sopra, sarebbe morto praticamente all’istante), perché la Russia dovrebbe utilizzare su un dissidente politico al soldo dell’occidente un veleno che non sia al 100% capace di uccidere la vittima, tracciabile, sapendo che i Paesi interessati avrebbero sollevato un polverone? Uccidere un dissidente con meno del 2%, se non dell’1% dei consensi rischiando ovvie sanzioni e probabili proteste? Ma chi credono di prender in giro?

Insomma, ormai le mosse dell’occidente sono piuttosto prevedibili, e cascarci ogni volta è o da imbecilli – pietà per questi poveri dotati di pochi neuroni – o da criminali.
Sostenere, tra l’altro finanziariamente, un neonazista come Navalny, sapendo ciò che farebbe se mai andasse a potere, non è semplice geopolitica. È collaborazionismo.