In questi giorni sta tornando agli onori delle cronache la protesta dei ristoratori, dei baristi e
dei piccoli commercianti, nuovamente scatenata dagli ennesimi provvedimenti del governo
che ancora una volta hanno “spento” interi settori nello spazio di poche ore.
Questa protesta, vivace e capace di raggiungere modalità di lotta abbastanza agguerrite,
come nel caso di Genova, tocca un “nervo scoperto” per molte organizzazioni che
condividono l’obiettivo della lotta per il socialismo.
In poche parole, come porsi di fronte a queste?
Schierarsi a favore significa prendere irrimediabilmente le parti del piccolo padronato,
schierarsi contro significa allo stesso modo rinnegare l’esistenza di migliaia di posti di lavoro
che al turismo e alla ristorazione (come molti altri settori forse meno appariscenti ma
altrettanto significativi) sono indissolubilmente legati, oltre che sostenere, seppur
passivamente, la lotta della grande borghesia.
Questo conflitto apre una contraddizione che sembra irrimediabile nel campo socialista, ma
che è necessario sia risolto: non per solidarietà verso la classe borghese o abdicazione ad
essa dell’iniziativa politica, ma perché non possiamo ignorare che il fallimento delle piccole
attività commerciali del nostro paese trascinerà inevitabilmente a fondo tutti i lavoratori che a
queste sono collegati. La risposta socialista dev’essere dunque forte e chiara.
E’ fondamentale risolvere questa contraddizione. Occorre esplicitare in maniera chiara ed
univoca quale dev’essere il rapporto fra le forze del proletariato e la piccola borghesia, e
ancor di più quello tra quest’ultima e l’avanguardia rivoluzionaria. Come scrisse Lenin nel
Che fare?”, è compito dei socialisti rappresentare “la classe operaia non nei suoi rapporti
con un determinato gruppo di imprenditori, ma nei suoi rapporti con tutte le classi della
società contemporanea, con lo Stato, come forza politica organizzata”. La piccola borghesia,
soprattutto in Italia, rappresenta una componente caratterizzante del tessuto
economico-sociale. Sarebbe un errore liquidare le questioni ad essa legate con soluzioni del
tutto inquadrabili all’interno dell’ideologia borghese come quelle rappresentate dalla falsa
dicotomia della generica ostilità o della difesa della proprietà privata che, per quanto piccola,
tale rimane. Serve pensare oltre l’orizzonte politico ed economico della società
liberal-borghese, per arrivare ad una soluzione coerentemente e squisitamente socialista.
In quanto lavoratore, quindi partecipe dell’attività produttiva e non nella funzione di classe
parassitaria rispetto a quella, anche il titolare vive la contraddizione tra capitale e lavoro: i
suoi sforzi e quelli della sua azienda rischiano di venire ogni giorno resi vani dalle forze del
mercato, che inesorabilmente puntano a cannibalizzare la piccola produzione a favore della
grande. La lotta frutto di questa contraddizione porta in sé una potente carica negativa
rispetto al sistema capitalista, in questo senso i piccoli borghesi “non difendono i loro
interessi, ma i loro interessi futuri, abbandonando il loro proprio modo di vedere per adottare
quello del proletariato” (K.Marx, F.Engels, “Manifesto del Partito Comunista”) La risposta dei
socialisti non dev’essere quindi l’istanza politicamente primitiva di sostenere la piccola
produzione, ma quella di slegare essa dal mercato, promuovendo l’associazione di un
sempre maggior numero di produttori e la pianificazione economica. La piccola proprietà
deve divenire proprietà associata, sempre più integrata nel sistema produttivo nazionale: “La
cooperativa, in quanto piccola isola nella società capitalista, è una bottega. La cooperativa
che abbraccia tutta la società nella quale è stata socializzata la terra e nella quale sono state
nazionalizzate le fabbriche e le officine, è socialismo” (V.Lenin, “I compiti immediati del
potere sovietico”
). In questo modo, e solo in questo modo, si potrà risolvere la
contraddizione di fondo insita nel capitalismo, ed emancipare i lavoratori dalla funzione
oppressiva e sfruttatrice del capitale. L’attuale proprietario non va caratterizzato in maniera
manichea come incarnazione di un male metafisico, ma contestualizzato come un soggetto
economico in un dato sistema, questo sì fautore di ingiustizie. L’analisi dev’essere quindi di
classe, e non relativa al singolo. Le contraddizioni in seno alla classe borghese non possono
che contrapporre la piccola borghesia, che spesso è partecipe della produzione, alla grande,
la cui attività si basa sul parassitismo. Valorizzando la componente proletaria della piccola
borghesia, liberando le attività economiche dalla tirannia della proprietà privata, si
perseguono anche gli interessi degli attuali proprietari, ma non già in quanto borghesi, ma
come lavoratori ed esseri umani. La piccola borghesia, soprattutto nelle sue punte più
avanzata, ben si rende conto della contraddizione risultante da una ripartizione delle risorse
assurda, che vede masse sempre più impoverite coesistere assieme a pochissimi magnati
della finanza, rentiers e speculatori che giornalmente ammassano fortune immense. E’
compito dell’avanguardia politica del proletariato approfondire questa contraddizione, e
portarla al suo naturale sviluppo in senso rivoluzionario, ponendo così le istanze della
piccola borghesia lavoratrice al servizio della classe operaia, che “non deve separarsi dagli
altri strati della popolazione, ma deve al contrario dirigere tutti gli altri strati della
popolazione, senza eccezioni” (Ibidem). La guerra aperta ed aprioristica alla piccola
borghesia non è indizio di massimo impegno per la causa operaia, ma anzi semmai di quelle
tendenze nocive che vanno ad unire ad un estremismo verbale la più marcata innocuità
pratica. E’ compito dell’avanguardia politica socialista “combattere queste tendenze
[riformistiche ed opportuniste] per strappare alla borghesia i milioni di piccoli proprietari
turlupinati e i milioni di lavoratori le cui condizioni di vita sono più o meno piccolo-borghesi”
(V. Lenin, prefazione alla quarta edizione de “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”).
La lotta ai massimalisti parolai dev’essere tanto incessante quanto quella agli opportunisti di
destra, rappresentando entrambi tendenze deleterie e collaborazioniste rispetto al sistema
capitalista.
Per un’analisi concreta e materiale della piccola borghesia, e quindi per porre una soluzione
alla questione, in primo luogo, bisogna scindere l’attività lavorativa da quello che è invece il
profitto che proviene dalla proprietà privata.
Non è una cosa strana che il proprietario di un ristorante sia in realtà il primo cuoco, così
come non è insolito che il proprietario di un piccolo albergo svolga mansioni lavorative
all’interno dello stesso. Questo è tanto più vero quanto si riduce la dimensione dell’attività
commerciale in questione, e non è certo una realtà legata soltanto alla ristorazione stessa
ma, in generale, a tutto il piccolo commercio e alla distribuzione al dettaglio.
Quindi, come prima cosa bisogna distinguere i due aspetti: la risposta del socialismo
dev’essere chiara nell’affermare che in nessun modo l’attività lavorativa delle persone
dev’essere messa in discussione, tanto per iniziare. Non solo il socialismo vuole rispettare i
singoli lavoratori, ma anzi vuole finalmente affrancarli da una vita destinata al lavoro sotto
padrone, da una vita destinata alla dipendenza dalle forze del Mercato.
Per quanto riguarda l’aspetto più squisitamente legato alla proprietà privata, è chiaro che in
nessun modo una visione socialista può approvare la persistenza della stessa nei settori
della società. Pertanto, possiamo evidenziare tre casistiche:

PICCOLA ATTIVITA’ FAMILIARE

La Repubblica dovrebbe intervenire a salvare queste realtà, preservando la proprietà dell’attività stessa in capo alla famiglia fintanto che la stessa è l’unica forza lavoro che presta
servizio nell’unità. L’attività in crisi verrà rilevata dalla Repubblica, e qualora il nucleo
familiare lo desideri, potrà conservare la gestione dell’attività stessa per tutta la durata della
vita lavorativa (o fino a quando lo vogliano). Una Repubblica socialista infatti riconosce a
queste piccole realtà un’importante funzione di presidio sociale e come garanzia di continuità
di servizi a livello territoriale.

Piccola attività con lavoratori dipendenti

In tal caso la Repubblica, come garante ultima della continuità produttiva, si dovrebbe fare
carico dell’attività stessa. L’attività in crisi sarà dunque rilevata dalla Repubblica, che
garantirà sia lo stipendio ai dipendenti sia la continuità del servizio, avendo cura di tutelare
anche tutti i lavoratori non a norma, regolarizzandone la condizione. Il piccolo proprietario
che poteva vantare il titolo di proprietà iniziale non dovrebbe essere indennizzato, o
dovrebbe al più ricevere un indennizzo simbolico, avendo già goduto dei frutti del bene in
passato. D’altronde, nei suoi confronti, l’integrazione in seno alla forza lavoro a pieno titolo e
con pari diritti e dignità rispetto agli altri lavoratori rappresenta già una forma di indennizzo. Il
personale dirigente precedentemente proprietario avrà la possibilità di proseguire il suo
compito e di poter gestire il bene, fintanto che non si saranno perfezionati i meccanismi di
democrazia lavorativa e si possa procedere alla nomina di nuovi gestori o a forme di
gestione collegiale. Al gestore originale spetterà uno stipendio in linea con quello degli altri
dipendenti, e tutti i benefici collegati al lavoro dipendente. Le attività proseguiranno
normalmente garantendo gli stessi precedenti servizi, ma a prezzi popolari finalizzati
esclusivamente alla copertura dei costi di gestione e del personale.


Grande attività con numerosi dipendenti

In tal caso non dev’essere prevista protezione di sorta per i titolari del diritto di proprietà,
essendo la stessa spesso scollegata dalla reale gestione. La struttura diverrà di proprietà
della Repubblica, e le direzioni aziendali correnti manterranno le loro posizioni attuali solo ed
esclusivamente per gli affari di ordinaria amministrazione nell’attesa della definizione dei
procedimenti di democrazia interna che permetteranno ai lavoratori di eleggere le proprie
direzioni aziendali. L’attività proseguirà normalmente avendo come obiettivo non il maggior
profitto ma la maggiore utilità sociale del bene o servizio prodotto. Una soluzione simile
andrebbe attuata anche e soprattutto verso quelle aziende che si vorrebbero delocalizzare,
o i cui impianti siano a rischio chiusura per scelte gestionali dettate, più che dalla crisi
economica, dalla volontà di diminuire le spese.
E’ necessario evidenziare come allo stato attuale dello sviluppo delle forze produttive e della
tecnica, la difesa della piccola proprietà in quanto tale non possa essere compatibile con la
soluzione socialista. Questo perché essa “è compatibile soltanto con un quadro ristretto e
primitivo della produzione e della società” (V.Lenin, “Karl Marx, breve saggio biografico ed
esposizione del marxismo
), ma non solo: la cancellazione della piccola proprietà privata in
quanto proprietà privata è necessaria allo sviluppo socialista. Come possiamo leggere
sempre da V. Lenin, questa volta in “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”:
“Sopprimere le classi non significa soltanto cacciar via i grandi proprietari fondiari e i
capitalisti, (…) ma significa anche eliminare i piccoli produttori di merci, che è impossibile
cacciar via, che è impossibile schiacciare, con i quali bisogna accordarsi, che si possono (e
si devono) trasformare, rieducare solo con un lavoro organizzativo molto lungo, molto lento e
cauto”. Queste parole contengono un concetto di primaria importanza: il piccolo borghese,
da figura “ibrida”, eternamente sospesa materialmente fra la borghesia e il proletariato, non
può essere vittima di una generalizzazione volta a ridurlo alla sua partecipazione alla classe
possidente, ma dev’essere caratterizzato anche per la sua componente operaia e
lavoratrice. E’ necessario quindi un intervento politico, culturale ed economico per
sopprimere la prima ed emancipare la seconda.
E’ dettato dalle leggi dell’accumulazione del capitale che la piccola proprietà debba venir
distrutta ed inglobata dalla grande, portando così alla progressiva proletarizzazione dei “ceti
medi”, che vengono inesorabilmente ridotti allo stato di salariati. E’ unicamente attraverso la
distruzione della proprietà privata in quanto tale, piccola o grande che sia, che la stessa
proprietà potrà aprirsi dai pochi ai molti, divenendo comune, e tutelandosi così dall’azione
negatrice del Capitale. E’ infatti intrinseca al sistema capitalista la negazione pratica della
proprietà per la stragrande maggioranza degli esseri umani, che ne vengono
sistematicamente privati. La proprietà personale viene trasformata in capitale, passando
così da garanzia di benessere e di libertà a strumento dedito alla creazione di profitto.
L’estinzione della proprietà privata previene così la sistematica spoliazione della
maggioranza ad opera della minoranza, tutelando la proprietà personale, e quindi il libero
sviluppo della persona, in tutte le sue forme. La negazione totale della proprietà, l’abdicarsi
di essa in favore di un terzo non è da pensarsi come conforme all’orizzonte socialista. Non è
attraverso la totale negazione della libertà, una sua cessione integrale ad un ente terzo e
regolatore, che le masse ottengono la loro emancipazione, ma è anzi attraverso la rimozione
degli ostacoli che si frappongono fra ognuno e il raggiungimento della sua piena libertà,
avente come limite quella collettiva ed altrui, che si pone in atto un regime di autentica
giustizia e di autentica eguaglianza.
“La proprietà è il diritto di ogni cittadino a godere e disporre a suo piacere della porzione di
beni che gli è garantita dalla Legge. Il diritto di proprietà è limitato come tutti gli altri
dall’obbligo di rispettare i diritti altrui. Esso non può recare pregiudizio alla sicurezza, alla
libertà, all’esistenza e alla proprietà dei nostri simili”. (M. Robespierre, discorso alla
convenzione 21 aprile 1793
)
La proprietà privata, avendo come intrinseca caratteristica quella di minare
progressivamente la proprietà personale e comune, non può che essere illegittima, ed
essere soppressa aprioristicamente dalla sua estensione. Ma l’abolizione di essa
dev’essere un passo verso l’estensione della proprietà alle masse, la creazione della
proprietà comune e la ricostruzione di quella personale. In questo senso l’azione della
Repubblica socialista dovrà essere mirata al ripristino del controllo popolare sulla
produzione, e della proprietà operaia sugli strumenti del lavoro