DI LEONARDO SINIGAGLIA

Spesso ci si interroga sulle ragioni della sterilità della “sinistra” occidentale, intendendo con questo termine l’ampio spettro delle forze che più o meno a ragione si definiscono socialiste, comuniste, rivoluzionarie et similia. Si potrebbero imbastire decine di discorsi prendendo sotto esame la mancanza di chiari punti di riferimento, l’accettazione acritica della propaganda borghese ed imperialista, la sussidiarietà rispetto ai vari centro-sinistra liberali…tutte considerazioni giuste, ma che da sole non spiegano come mai dopo decenni d’attività il “movimento”, con le sue occupazioni e le lotte, non sia riuscito né cambiare di una virgola i rapporti di forza nel nostro paese, né a porsi come valido interlocutore delle forze socialiste ed antimperialiste internazionali.

Il centro del discorso è questo: manca un’idea di paese da contrapporre all’esistente. Se non si ha in mente una nuova Italia da rendere realtà, ogni discorso politico, ogni proposito rivoluzionario, ogni massimalismo verbale non sarà altro che bieco riformismo, volenti o nolenti. Se non si vuole creare una nuova Italia, e quindi anche nuove leggi, nuovi rapporti di forza, nuovi rapporti di proprietà, si ragionerà sempre all’interno degli steccati ideologici e legali dell’Italia attuale e del suo apparato legale ed ideologico. Questo accade non solo a causa dell’internazionalismo di cartone di certa sinistra liberaleggiante che giudica come “destrorso” qualsiasi concetto nazionale, rendendo così la sua lotta politica semplice ribellismo borghese, ma anche a causa dell’ormai interiorizzata “allergia” per la pianificazione politica da parte delle forze della sinistra radicale. Si preferisce un’approccio giorno per giorno, contestatorio, antagonista, mentre invece per la rivoluzione servirebbe una pianificazione politica d’ampio respiro, analisi e proposte, pars destruens e pars costruens.

Un cambiamento dei rapporti di forza e la creazione di una nuovo Stato, anzi di un nuovo paese, necessitano di un potere popolare che abbatta e neghi il potere reazionario. E’ in questo gesto, la creazione delle basi del potere popolare, che sta l’intima anima della rivoluzione. E’ ovvio come tutte le dinamiche antagonistiche e fluide del “movimento” non vadano nella direzione della costruzione di un nuovo potere, ma che siano dirette al semplice ed effimero disturbo saltuario del potere esistente. E questo ha le sue radici profonde nell’assenza dell’idea di una nuova Italia. Se non si ha una Patria ideale nella quale credere e all’immagine della quale plasmare la propria realtà nazionale, non solo non si riuscirà mai a prendere il potere nel proprio paese, ma nemmeno a contribuire alla rivoluzione proletaria internazionale. Si sarà sempre ribelli, ma mai rivoluzionari. Ribelli pronti a rientrare nei ranghi ogni qual volta il proprio campo ideologico, condiviso col sistema di cui ci si sente antagonisti, viene minacciato.

E’ chiaro che quindi per gli antagonisti qualsiasi visione di una nuova Italia appaia inconcepibile quando non pericolosa. E’ chiaro che non si hanno la volontà e gli strumenti necessari per pensare ad un nuova Repubblica, il che significa in primo luogo una nuova Costituzione e nuovi strumenti per il potere popolare. Ed è chiaro che per quanto il compito della lotta politica sia ben più arduo di quello dell’antagonismo, solo il primo potrà modificare la realtà.