In occasione del centesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese pubblichiamo questo articolo di Carlos Martinez da noi tradotto originariamente pubblicato sul World Review of Political Economy, Vol. 11, No. 2 (estate 2020): pp. 189-207, e riportato sul sito www.socialistchina.org

Carlos Martinez  è un ricercatore indipendente e attivista politico residente a Londra. Il suo primo libro The End of the Beginning: Lessons of the Soviet Collapse, fu pubblicato nel 2019 da LeftWord Books. I suoi principali campi di ricerca sono la costruzione delle società socialiste (passate e presenti) i movimenti progressisti in America Latina e il multipolarismo.

Dovremmo pensare al regime comunista cinese in maniera differente rispetto a quello dell’URSS: esso ha infatti avuto successo dove l’Unione Sovietica fallì.

(Jacques 2009, 535)

Questo articolo vuole indicare le ragioni del collasso dell’Unione Sovietica, e cerca di capire se la Repubblica Popolare Cinese sia vulnerabile alle stesse forze che minarono le fondamenta del socialismo europeo. Che lezioni possono essere tratte dal collasso sovietico? Ha il capitalismo vinto? Quale sarà il futuro del Socialismo nel mondo? C’è una speranza per l’Umanità di sfuggire dallo sfruttamento brutale, dalle disuguaglianze e dal sottosviluppo? Esiste un futuro nel quale i miliardi di abitanti del pianeta possano veramente esercitare il proprio libero arbitrio, la loro umanità, liberati dall’alienazione e dalla povertà? 

Le conclusioni che traggo sono che la Cina sta seguendo un percorso fondamentalmente diverso da quello dell’Unione Sovietica; che ha portato avanti uno studio serio e comprensivo del collasso dell’Unione Sovietica e ha rigorosamente applicato ciò che ha imparato; che la Repubblica Popolare Cinese rimane un paese socialista e la forza guida nella lotta per un mondo multipolare; che, nonostante il ritirarsi della prima ondata socialista, il marxismo rimane più rilevante che mai; e che, consequenzialmente, il Socialismo ha davanti a sé un futuro radioso.  

Mantenere la legittimità del PCC attraverso una governance altamente efficace e il miglioramento degli standard di vita

“L’esperienza cinese dal 1978 in poi mostra che la priorità di un paese in via di sviluppo non può che essere il miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Con questo obbiettivo, la Cina ha fatto il massimo per incrementare gli standard di vita del popolo e ha ottenuto significativi risultati nell’eradicazione della povertà.

(Zhang 2012, 96)

Consequenzialmente al collasso dell’Unione Sovietica e delle democrazie popolari europee tra il 1989 e il 1991, molti alti funzionari cinesi si preoccuparono che il il processo di riforme potesse sfuggire di mano. I leader sovietici tentarono le riforme tramite la glasnost e la perestroika, e i loro esperimenti portarono al disastro. Non fu questo un segnale di cautela per il Partito Comunista Cinese che invitava a ritornare ad un modello di completa proprietà statale e di stretto controllo centralizzato dell’economia? 

L’intuizione di Deng Xiaoping fu che gli elementi responsabili della destabilizzazione dell’Unione Sovietica non vanno cercati nella sperimentazione di un’economia mista, ma nel fallimento del miglioramento delle condizione di vita delle masse. La stagnazione economica che si verificò da metà anni ‘70 in avanti porto alla delusione delle basilari aspettative del popolo per un miglioramento delle proprie condizioni. ne risultò che non fu possibile mobilitare con facilità le masse per difendere il socialismo dagli attacchi, tanto esterni quanto interni. 

Deng capì che la legittimità del Partito Comunista sarebbe stata mantenuta solamente eliminando la povertà e migliorando la vita quotidiana del popolo. Perciò, nel suo famoso Tour del Sud nel 1992, sollecitò audacia, e non cautela. Finché il PCC avesse mantenuto  il controllo politico, finché  gli elementi cruciali dell’economia (le “alture dominanti”) sarebbero stati controllati dallo Stato, il mercato e gli investimenti stranieri sarebbero andati a beneficio del paese. Attratte dalla grande, istruito ed educata forza lavoro, le compagnie straniere avrebbero investito in Cina, incrementando quindi il suo capitale e le sue competenze tecniche, creando un circolo virtuoso che avrebbe permesso alla Cina di risalire la catena del valore incrementando in maniera significativa le condizioni di vita della popolazione.

Decenni dopo, è indiscusso riconoscere come le strategie economiche  adottate nel periodo di “riforme ed apertura”, dal 1978 in avanti, siano state di grande successo. Il Reddito Pro Capite cinese nel 1979 era di 210$. Gran parte della popolazione rurale viveva al di sotto della soglia di povertà. La produzione agricola era cresciuta solo del 10% dal 1952. La RPC era rimasta molto indietro rispetto alle zone del “Miracolo Est Asiatico”, Giappone, Sud Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, Thailandia, Malesia e Indonesia, in termini di standard di vita. Justin Yifu Lin scrisse che la leadership del periodo post-Mao “dovette incrementare le performance economiche e rendere il proprio popolo ricco quanto i vicini, o avrebbe potuto perdere il supporto e la legittimità”(Lin 2012, 154).

Nei decenni successivi, il numero di cinesi viventi in povertà assoluta, secondo la definizione della Banca Mondiale, passò da 840 milioni a sostanzialmente zero (Gupta 2020). I salari sono incrementati in maniera continua. Tra il 1988 e il 2008, il reddito pro capite medio è cresciuto del 229%, dieci volte la media globale del 24%. Nel 1994 un operaio cinese guadagnava 500$ all’anno, solo un quarto della sua controparte thailandese (Kroeber 2016, 174). Nel 2020 il reddito annuale in Cina supera i 10.000$, tre volte quello in Thailandia. 

Nonostante la disuguaglianza sia emersa come una serio problema, praticamente tutto il popolo cinese vive in condizioni sostanzialmente migliori di quanto facesse quarant’anni fa in termini di nutrimento, di alloggio, di vestiario, di accesso ai servizi e di possibilità di viaggiare. Beni di consumo precedentemente considerati di lusso, come lavatrici, docce riscaldate, refrigeratori, condizionatori, televisori a colori, computer, possono essere ora trovati in qualsiasi casa.

Negli anni 2000 il governo ristabilì un programma completo di sicurezza sociale, dove sono state incluse una copertura assicurativa sanitaria universale, la gratuità del percorso scolastico obbligatorio dai 6 ai 15 anni, pensioni, sussidi abitativi e supporti al reddito. I salari dei lavoratori sono incrementati con maggiore rapidità rispetto al PIL, e da ciò ne risulta il progressivo diminuire delle differenze di reddito. 

L’indice di sviluppo umano è un utile strumento di misura comprendente l’aspettativa di vita, il livello d’educazione e il reddito pro capite. Prendendo questo indice, possiamo vedere come la Cina sia salita dallo 0,407 del 1980 allo 0,758 di oggi (per avere un riferimento, la Norvegia è in testa alle classifiche con lo 0,949, mentre la Repubblica Centrafricana è in fondo con lo 0,352). L’incremento dell’ISU della Cina l’ha resa l’unico paese a saltare la fascia “media”, passando da un punteggio basso nel 1990 alla fascia alta (la soglia per la fascia molto alta è 0,800, ed è probabile che la Cina la superi prima della fine del decennio). 

I livelli di produttività e di innovazioni della Cina stanno gradualmente raggiungendo quelli delle più avanzate economie capitaliste, come risultato degli investimenti del governo nella ricerca scientifica e tecnologica. Lo sperimentato autore scientifico Philip Ball commenta come “la vecchia idea condiscendente di una Cina che può imitare ma non innovare è oggi certamente falsa. In molteplici campi scientifici, la Cina sta iniziando a guidare il cammino degli altri. Nel mio viaggio attraverso i laboratori cinesi nel 1992, solo quella che era presentata come l’eccellenza cinese, l’università di Pechino, assomigliasse ad una buona università occidentale.  Ad oggi le risorse disponibili per i migliori scienziati cinesi sono invidiate da più parti (Ball 2018) .

Mentre l’infrastruttura sovietica iniziò a crollare intorno agli anni ‘80, la moderna infrastruttura cinese è di livello internazionale. Infatti la qualità delle strade, dei treni, dei porti e degli aeroporti, oltre che degli edifici nelle principali città cinesi è visibilmente superiore rispetto a quella di metropoli globali come Londra e New York. 

Il continuo miglioramento della situazione economica e il corrispettivo miglioramento della qualità di vita della popolazione hanno portato ad un forte supporto popolare per il governo e per il socialismo cinese. Il Pew Research Center riporta come il presidente Xi goda di una percentuale di apprezzamento pari al 94% 1  la quale può essere paragonata in maniera favorevole con quella del primo ministro inglese Boris Johnson, il cui apprezzamento è ad un magro 34% 2. Nel 2014, l’89% dei cinesi descrisse la propria economia come “buona”, da compararsi con il 64% dell’India e il 40% degli Stati Uniti (Kroeber 2016, 198). L’accademico britannico Peter Nolan scrisse che “sotto il controllo del Partito Comunista, la Cina ha sperimentato la più grande era di crescita e di sviluppo della storia moderna”    (Nolan 2016, 2).  Per questo la guida del Partito Comunista Cinese gode di enorme consenso popolare e legittimità.

Perché le riforme economiche cinesi hanno avuto successo dove quelle sovietiche hanno fallito?

L’enorme differenza di risultati fra le riforme russe e quelle cinesi sono una dimostrazione della critica importanza della scelta delle giuste strategie e percorsi di riforma.

(Hu 2011, 28)

Lo storico marxista italiano Domenico Losurdo notò come dagli anni ‘30 ai ‘40 l’economia di comando sovietica abbia funzionato estremamente bene: “il rapido sviluppo di una moderna industria fu intrecciato con la costruzione di uno stato sociale che potesse garantire i diritti economici e sociali dei cittadini in una maniera senza precedenti” (Losurdo 2017, 17). Ciononostante, dopo un periodo di costruzione frenetica del Socialismo, seguito dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla ricostruzione, avvenne “la transizione da una grande crisi storica ad un periodo segnato dalla normalità [nel quale] l’entusiasmo delle masse e la loro dedizione alla produzione e al lavoro vennero meno per poi sparire” (Losurdo 2017, 17).  Nei suoi anni finali l’Unione Sovietica “fu caratterizzata da un massiccio assenteismo e dal disimpegno sul posto di lavoro: non solo lo sviluppo della produzione era stagnante, ma venne meno l’applicazione del principio guida del Socialismo per come fu identificato da Marx, la remunerazione in accordo con la quantità e la qualità del prodotto lavorato”  (Losurdo 2017, 17).

Dalla metà dei ‘70 in avanti, l’economia sovietica entrò in un periodo di lenta crescita economia, proprio nel momento in cui i paesi capitalisti stavano iniziando a far leva sullo sviluppo tecnologico e ad ottenere importanti passi in avanti nella produttività. Jude Woodward affermò che “dal 20% della grandezza dell’economia statunitense nel 1944, l’Unione Sovietica raggiunse l’apice del 44% di quella americana intorno al 1970 (1,352 miliardi di dollari  contro 3,082 miliardi), ma ricadde al 36% entro il 1989 (2,037 miliardi di dollari contro 5,704). Non si avvicinò mai allo sfidare il peso economico degli USA. (Woodward 2017, chapter 16, 248)

Losurdo ribatté che la Cina dei tardi ‘70  si dovette confrontare con problemi molto simili: “La Cina uscita dalla Rivoluzione Culturale assomigliava in maniera straordinaria all’Unione Sovietica nei suoi ultimi anni di esistenza: il principio socialista del compenso in base alla quantità e alla qualità del lavoro svolto veniva sostanzialmente liquidato, mentre sui posti di lavoro regnavano disaffezione, disimpegno, assenteismo ed anarchia” Losurdo 2017, 19).

La Cina fece significativi progressi in termini di aspettativa di vita, possesso della terra, equità sociale, educazione ed emancipazione delle masse sin dalla nascita della Repubblica Popolare nel 1949, ma intorno ai tardi anni ‘70 era ancora lontana dall’essere un paese avanzato. Centinaia di milioni di persone nei villaggi affrontavano una sostanziale insicurezze alimentare e vivevano in condizioni abitative misere.  

Essendo un paese povero con l’enorme responsabilità di garantire i bisogni immediati della sua grande popolazione, alla Cina mancarono le risorse per investire in maniera cospicua nella ricerca e nello sviluppo, con il risultato di una ridotta produttività incapace di garantire adeguati standard di vita al popolo. Tagliata fuori dal mercato globale, non fu in grado di imparare velocemente dagli altri o di trarre guadagno da una divisione del lavoro sempre più globalizzata. Ci fu un quindi una scarsità di capitale, un basso livello di sviluppo tecnologico e una mancanza di incentivi per la produzione e l’innovazione. Similmente all’Unione Sovietica nei suoi ultimi decenni, il sistema pianificato della Cina continuava a basarsi in maniera eccessiva sul volontarismo e sugli “incentivi morali” per aumentare la produzione.  La storia delle economie socialiste del secolo scorso indica come un simile approccio soffra di risultati sempre minori e non possa essere sostenuto a tempo indeterminato. 

Questo il contesto in cui le riforme e le aperture furono adottate nei tardi ‘70. Superficialmente, la strategia riformatrice seguita dalla Cina dal 1978 condivide certe similitudini con i vari tentativi di riforma economica nell’Unione Sovietica, particolarmente con l’insieme di riforme introdotte dalla dirigenza Gorbachev sotto l’ombrello della perestroika. Tuttavia, ci sono profonde differenze fra l’approccio cinese e quello sovietico che aiutano a spiegare l’indubbio successo di uno e il completo fallimento dell’altro. L’approccio cinese alle riforme fu estremamente cauto e pragmatico, “basato  su di un approccio sperimentale, a pezzi, passo dopo passo. Se una riforma funzionava era estesa a nuove aree; se falliva allora era abbandonata”(Jacque 2009, 176). Tutte le riforme dovevano essere messe alla prova nella pratica, e i loro risultati analizzati, in modo che le analisi avrebbero potuto guidare i successivi esperimenti. Che Yun, l’economista di punta dell’era di Deng, disse nel 1980 che “i passi devono essere sicuri, perché incontreremo molti problemi complicati. Quindi nessuna fretta…Dobbiamo procedere per via sperimentale, revisionare la nostra esperienza di tanto in tanto, e correggere gli errori ovunque siano scoperti, cosicché i problemi minori non crescano di portata” (Hu 2011, 33)

Molti concetti chiavi per le riforme provenirono dalla base. “Noi processiamo le loro idee e le portiamo al livello di linee guida per tutto il paese. La pratica è l’unico criterio per verificare la verità” (Deng 1992).

Le riforme in Cina furono pazienti, progressive e guidate dai risultati ottenuti, mentre “Gorbachev fece lo sbaglio fatale di provare a fare troppo  e troppo velocemente” (Shambaugh 2008, 65). Le riforme di Gorbachev furono implementate in maniera brutale, dall’alto verso il basso, senza far leva sulla creatività e sulle idee delle basse e senza tentare di produrre relazioni sugli effetti. Considerato che il processo fu presentato come una forma di “democratizzazione”, è ironico come fu portato avanti in maniera profondamente antidemocratica.  La leadership non mobilità la struttura esistente ed affidabile della società, i soviet e il Partito Comunista, ma cercò di bypassarla e di indebolirla.  

Al posto di affidarsi agli elementi più pragmatici del partito e dell’ufficialità per ristrutturare il paese, Gorbachev provò a costruire nuove forze politiche e movimenti mentre gradualmente diminuiva il potere del partito e delle strutture centralizzate dello Stato (Zubok 2007, 307).

I media non furono usati per unire il popolo intorno ad un programma di sviluppo, ma per denigrare il Partito Comunista. Il programma economico fu incoerente e soggetto ad improvvisi cambi di direzione. Il risultato fu, nelle parole dello sperimentato comunista russo  Gennady Zyuganov, “una parata di arroganza politica, demagogia e dilettantismo, che gradualmente sopraffecero e paralizzarono il paese”(Zyuganov 1997, 107).

Sia l’economia cinese che quella sovietica soffrirono negli anni ‘70 si una soffocante iper-centralizzazione. Il processo riformatore cinese si preoccupò di questo sbilanciamento in una maniera graduale, nella quale “il rilassamento delle restrizioni sul capitale privato fu accompagnato dal controllo statale e dalla pianificazione di grandi investimenti pubblici” (Roberts 2017). Nell’Unione Sovietica, al contrario, gli uffici addetti alla pianificazione furono semplicemente smantellati da un giorno all’altro, creando caso in tutta l’economia.

Sebbene il processo di riforme della Cina servì per introdurre le forze del mercato all’interno dell’economia, l’intero processo fu portato avanti sotto lo stretto controllo del governo e prese forma all’interno di un contesto d’economia pianificata.  Il livello d’ingresso del mercato in Cina fu assai maggiore rispetto a quello occorso in Unione Sovietica; comunque, in Cina si mantenne un più stretto controllo macroeconomico. Ancora oggi, dopo quattro decenni dalle riforme economiche, “lo Stato rimane saldamente al comando” dell’economia cinese. “Il governo porterà avanti riforme volte ad incrementare il ruolo del mercato nella decisione dei prezzi, ma eviterà riforme che potrebbero permettere al mercato di trasferire il controllo delle risorse dallo Stato al settore privato” (Kroeber 2016, 225).

Peter Nolan, senza dubbio non un sostenitore delle economie a pianificazione centrale, scrive: “Il comparare le esperienze di Russia e Cina per quanto riguarda le riforme conferma che, in certe situazioni e in certi paese, una pianificazione efficace è condizione necessaria per il successo economico” (Nolan 1995, 312). Nolan (1995, 160–175) sottolinea che lo Stato cinese abbia guidato esperimenti in larga scala per poi analizzarne i risultati; proteggendo l’industria domestica dall’improvvisa comparsa di beni stranieri; supportando la crescita delle aziende statali fino al livello da renderle competitive sul mercato globale; investendo nelle infrastrutture economiche e sociali (trasporti, sanità, educazione, energia); e coordinando le differenti componenti del programma di riforme. 

David Kotz e Fred Weir osservarono come difficilmente si può parlare di privatizzazione nel processo di riforme cinese, le imprese statali furono tenute sotto la proprietà e il controllo della Repubblica “Non ci fu nessuna immediata liberalizzazione dei prezzi, le imprese statali continuarono a vendere a prezzi controllati. La pianificazione centrale fu mantenuta per il settore pubblico dell’economia. Al posto di tagliare la spesa statale, diversi livelli governativi versarono fondi per migliorare l’economia di base della Cina e le sue infrastrutture dei trasporti, delle comunicazioni ed energetiche.  Al posto di applicare una stretta politica monetaria, ampio credito fu fornito per l’espansione e la modernizzazione. Lo Stato ha provveduto a costruire gradualmente un’economia di mercato nel periodo di diversi decenni, con esso a guida attiva del processo” (Kotz and Weir 1997, 197).

Il risultato fu un programma di riforme molto più efficace di quello che avvenne in Unione Sovietica dal 1985 al 1991, o quello della Russia post-sovietica dal 1991 in avanti. 

Se la prova di una ricetta è l’assaggio, allora quella cinese ha provato di essere migliore della controparte sovietica. La perestroika trasformò un’economia pigra in una fallita. Nel 1991, l’ultimo anno d’esistenza dell’Unione Sovietica, l’economia andava contraendosi al passo del 15% annuo. La cieca fede di Gorbachev nel potere correttivo delle forze del mercato si rivelò malriposta, gli investimenti collassarono. “Gli investimenti fissi netti declinarono alla spaventosa velocità del 21% nel 1990 con stime del 25% nel 1991” (Kotz and Weir 1997, 97).

In Cina il PIL crescette del 4% negli anni ‘70, per arrivare all’incirca al 10% nel periodo fra il 1978 al 1992. Dal 1978 l’economia cinese è cresciuta più di quella di qualsiasi altro paese; è in cima alle classifiche anche per la crescita del PIL pro capite, cresciuto dai 156$ del 1978 ad appena oltre i 10.000$ del momento attuale.

 La Cina non sta indebolendo il governo del Partito Comunista o attaccando la sua storia

Se la Cina permettesse liberalizzazioni borghesi ci sarebbe inevitabili tumulti. Non otterremmo nulla, e i nostri principi, le nostre politiche, la nostra linea e le strategie di sviluppo sarebbero destinate al fallimento.

(Deng 2007)

Sia in Cina che in Unione Sovietica l’adozione di politiche orientate al mercato significò una rottura col passato sotto certi aspetti. Una grande differenza sta però nel fatto che in Unione Sovietica questo cambio di politiche fu accompagnato da un convenuto tentativo di minare la legittimità del Partito Comunista e la fiducia del popolo nella sua storia. 

Nel 1896 Gorbachev e i suoi consiglieri produssero il concetto di glasnost -”apertura”- per incapsulare politiche di maggiore trasparenza governativa, più ampia discussione politica e incrementata partecipazione popolare . L’idea sembra apparentemente impossibile da obbiettare, ma la glasnost presto divenne il grido di battaglia per un attacco totale contro la legittimità del Partito Comunista e una potente arma nelle mani delle forze ostili al Socialismo. Affrontato da una significativa opposizione alle proprie proposte economiche all’interno del Partito Comunista, e privato di una base fra le masse, la squadra di Gorbachev cercò sempre più supporto da “riformatori liberali” , persone che supportavano la  perestroika e volevano che essa venisse accompagnata da una transizione verso un sistema politico parlamentare in stile europeo. Questi riformatori incoraggiarono Gorbachev a pianificare un silenzioso colpo di Stato in nome della democrazia, ponendo fine al ruolo guida del Partito Comunista smantellando il Soviet Supremo e rimpiazzandolo con il Congresso dei Deputati del Popolo. I rappresentanti di questo corpo furono eletti direttamente, ma la selezione dei candidati fu fortemente manipolata in favore dei lealisti di Gorbachev pro-perestroika e pro-occidente.  

Cheng e Liu osservarono che “nel nome della promozione di giovani quadri e delle riforme, Gorbachev rimpiazzò un gran numero dei vertici del partito, della politica e dell’esercito con quadri con posizioni ambigue o anti-socialiste e anti-PCUS. Questa pratica pose le fondamenta, in termini organizzativi e di selezioni dei quadri, per il “cambio di direzione” politico. (Cheng e Liu 2017, 305) 

Yegor Ligachev , un ufficiale sovietico d’alto grado, che osservò tutto questo in prima persona, supporta questa conclusione. “Quello che accadde al nostro paese  fu principalmente il risultato della debilitazione ed eventuale eliminazione del ruolo guida del Partito Comunista nei confronti della società, l’espulsione del Partito  dalle principali decisioni politiche, dal suo disfacimento ideologico e organizzativo” (Ligachev 1996, 286).

La trasformazione politica fu supportata da un’approfondita campagna mediatica che denigrava la storia sovietica, esagerando enormemente gli eccessi e gli errori del periodo staliniano e persino attaccando il ruolo dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale. Le cose sono andate così lontano che il leader cubano Fidel Castro è stato spinto a commentare nel 1989:

È impossibile fare una rivoluzione o condurre una rettifica senza un partito forte, disciplinato e rispettato. Non è possibile realizzare un simile processo calunniando il socialismo, distruggendo i suoi valori, screditando il partito, demoralizzando la sua avanguardia, abbandonando il suo ruolo di guida, eliminando la disciplina sociale e seminando ovunque caos e anarchia. Questo può favorire una controrivoluzione, ma non un cambiamento rivoluzionario. . . . È disgustoso vedere quante persone, anche nella stessa Unione Sovietica, sono impegnate a negare e distruggere le imprese storiche e gli straordinari meriti di quel popolo eroico.

 (Castro 2013, 56)

Il Partito Comunista era stato il principale veicolo per promuovere i bisogni e le idee della classe operaia sovietica; una volta messo da parte, i lavoratori non ebbero mezzi evidenti per organizzarsi in difesa dei loro interessi. Questo aprì uno spazio per una minoranza filocapitalista per dominare il potere politico e, in definitiva, distruggere  il paese e smantellare il socialismo.

La leadership cinese ha capito che la Repubblica Popolare Cinese non potrebbe sopravvivere senza la continua leadership del Partito Comunista, e questa è una lezione chiave che ha imparato dal crollo dell’Unione Sovietica. Xi Jinping osserva che:

“Un’importante ragione della disintegrazione dell’Unione Sovietica e il crollo del PCUS fu la completa negazione della storia dell’Unione Sovietica e della storia del PCUS, la negazione di Lenin e di altre personalità di spicco e il nichilismo storico che confuse i pensieri della gente.”

(citato  in Rudolph and Szonyi 2018, 23)

Non c’era alcun desiderio di trapiantare le idee politiche della borghesia americana ed europea sul suolo cinese. Secondo Weiwei Zhang, che ha lavorato come interprete per Deng Xiaoping, Deng era completamente concentrato sul compito principale: migliorare i mezzi di sussistenza delle persone. Qualsiasi riforma politica dovrebbe essere condotta non per se stessa, ma solo nella misura in cui è servita all’obiettivo generale.

Credeva che copiare il modello occidentale e mettere le riforme politiche in cima all’agenda, come stavano facendo i sovietici all’epoca, fosse assolutamente sciocco. In effetti, questo era esattamente il commento di Deng su Gorbaciov dopo il loro incontro: “Quest’uomo può sembrare intelligente ma in realtà è stupido (Zhang 2014)

In un ambiente economico mutevole, in cui si accumulava capitale privato ed emergeva una nuova classe di imprenditori, il governo del Partito Comunista era essenziale per garantire che lo sviluppo andasse a vantaggio delle masse e che i nuovi proprietari di capitale non diventassero politicamente dominanti. Inoltre, la stabilità politica era un requisito assoluto per una riforma economica di successo.

Praticamente in ogni discorso importante sul percorso di sviluppo della Cina dal 1978 fino alla sua morte nel 1997, Deng ha insistito su quelli che ha definito i Quattro Principi Cardinali: 1) Difendere il percorso socialista; 2) Mantenere la dittatura del proletariato (governo della classe operaia); 3) Mantenere la leadership del partito; e 4) Aderire al marxismo-leninismo e al pensiero di Mao Zedong. Fu estremamente chiaro sull’importanza di uno stato operaio:

“i che tipo di democrazia ha bisogno il popolo cinese oggi? Può essere solo democrazia socialista, democrazia popolare e non democrazia borghese. . . . Gli interessi personali devono essere subordinati a quelli collettivi, gli interessi della parte a quelli del tutto e gli interessi immediati a quelli a lungo termine. In altre parole, gli interessi limitati devono essere subordinati agli interessi complessivi e gli interessi minori a quelli maggiori. . . . È ancora necessario esercitare la dittatura su tutti questi elementi antisocialisti. . . . Il fatto è che il socialismo non può essere difeso o costruito senza la dittatura del proletariato.”

(Deng 2001, 183)

Il PCC non ha seguito l’esempio sovietico dell’attaccare la propria storia. Sebbene la leadership cinese abbia criticato seriamente alcune politiche associate a Mao (in particolare il Grande Balzo in avanti e la Rivoluzione Culturale), non è fu mai nemmeno tentata di ripudiare Mao e minare le basi ideologiche e storiche del socialismo cinese. Nessuna muraglia cinese è stata costruita tra l’era Mao e l’era post-Mao; le due fasi sono indissolubilmente legate e sono entrambe “esplorazioni pragmatiche nella costruzione del socialismo condotte dal popolo sotto la guida del Partito” (Xi 2014, 47).

Conserveremo per sempre il ritratto del presidente Mao sulla Porta di Tiananmen come simbolo del nostro paese e lo ricorderemo sempre come fondatore del nostro Partito e del nostro stato. . . . Non faremo al presidente Mao quello che Krusciov ha fatto a Stalin.”

(Deng 1980)

La direzione del PCUS subì una crisi di legittimità che aveva creato essa stessa. Gorbachev ei suoi colleghi attaccarono ed indebolirono gli organi del governo della classe operaia. Furono collusi nel trasferimento del potere politico alle forze antisocialiste. Intanto in Cina «il governo del Partito comunista non è più in dubbio: gode del prestigio che ci si aspetterebbe data la trasformazione che ha presieduto» (Jacques 2009, 277).

Oltre ai successi in campo economico, il PCC ha anche guidato un processo di unificazione, stabilizzazione e ripresa dopo il “secolo dell’umiliazione”, iniziato con la prima guerra dell’oppio (1839-1842) e terminato con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. Il sistema politico cinese è stato straordinariamente efficace nel proteggere l’indipendenza e l’integrità nazionale della Cina, e questo è il fattore preminente nel sostegno del popolo cinese al governo guidato dal PCC.

La Cina è riuscita ad evitare una “guerra fredda” tra superpotenze

L’ultima cosa che la Cina vuole  è la guerra. La Cina è molto povera e vuole svilupparsi; non può farlo senza un ambiente pacifico. Dato che vogliamo un ambiente pacifico, dobbiamo cooperare con tutte le forze mondiali che operano per la pace.

(Deng 1984)

La necessità di mantenere relazioni pacifiche con il mondo imperialista è stata una preoccupazione degli stati socialisti dal 1917 in poi. Tutte le leadership socialiste – comprese quelle di Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Kim Il Sung e Fidel Castro – hanno perseguito la “coesistenza pacifica” nella misura in cui è stato possibile.

L’importanza della pace internazionale per lo sviluppo della Cina è stata implicitamente riconosciuta da Mao all’inizio degli anni ’70, quando la visita di Henry Kissinger a Pechino ha aperto la strada all’insediamento della RPC all’ONU. Le continue comunicazioni tra Stati Uniti e Cina negli anni ’70 hanno portato alla creazione di relazioni diplomatiche formali tra Cina e Stati Uniti nel 1979. Da allora, la Cina è riuscita a mantenere relazioni pacifiche e reciprocamente vantaggiose con il mondo capitalista.

La coesistenza pacifica ha richiesto compromessi, uno dei quali è stato l’abbandono da parte della Cina di un ruolo di leadership diretta nella transizione globale al socialismo. L’Unione Sovietica prese a sé una pesante responsabilità come centro globale delle forze antimperialiste, dando ampia solidarietà materiale agli stati socialisti, ai movimenti di liberazione nazionale e ai governi progressisti di tutto il mondo, incluso un vasto sostegno economico alla Repubblica popolare cinese tra il 1949 e il 1959 ; sostegno militare ed economico a Cuba, Vietnam, Afghanistan, Angola, Nicaragua, Corea, Etiopia e altrove; addestramento, aiuti e armi all’ANC (African National Congress) in Sud Africa, Frelimo in Mozambico, Swapo nell’Africa sud-occidentale (ora Namibia), PAIGC (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde) in Guinea Bissau, e altri

Oltre agli aiuti diretti, il ruolo sovietico come difensore del mondo progressista – e la sua posizione come una delle due “superpotenze” – costrinse l’Urss a dedicare una parte straordinaria delle sue risorse allo sviluppo militare. Le cifre variano notevolmente, ma lo storico russo-americano Alexander Pantsov stima che “all’inizio della perestrojka di Gorbaciov, nel 1985, i sovietici spendevano il 40% del loro budget per la difesa”. In effetti, Pantsov conclude che “l’economia dell’URSS è crollata sotto il peso delle spese militari” (Pantsov e Levine 2015, 432). Il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan ha sviluppato una strategia di “stampa a tutto campo” nei primi anni ’80 che ha cercato di aumentare notevolmente la spesa militare degli Stati Uniti, costringendo l’URSS a seguire l’esempio e quindi ad aggravare le sue difficoltà economiche.

L’Unione Sovietica rimase a lungo attaccata a un sistema di “parità strategica” nello sviluppo delle armi nucleari, senza lesinare sforzi per tenere il passo (ma non superare) gli Stati Uniti. Finché avesse avuto la capacità di vendicarsi contro qualsiasi attacco nucleare avviato dagli Stati Uniti, avrebbe potuto sostanzialmente garantire che un simile attacco non avrebbe mai avuto luogo. Tuttavia, l’onere economico era enorme. In una società capitalista, l’industria degli armamenti è un campo di investimento altamente redditizio; creare domanda di armi è una manna per il capitale privato. In una società socialista con una forte responsabilità verso il soddisfacimento dei bisogni fondamentali della sua popolazione, la produzione di armi significa distogliere le risorse umane e materiali da quei bisogni fondamentali.

Questa non fu una situazione creata dall’Unione Sovietica, ma una situazione che imposta da una strategia imperialista occidentale guidata dagli Stati Uniti  decisa a minare il socialismo europeo. In effetti, i leader sovietici proponevano abitualmente il disarmo multilaterale e il disgelo della Guerra Fredda. Boris Ponomarev, Capo del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del PCUS dal 1955 al 1986, ha scritto:

“Gli Stati Uniti hanno presero sempre l’iniziativa per il perfezionamento delle armi nucleari e dei loro vettori fino all’avvento della bomba atomica. Ogni volta l’URSS fu costretta a rispondere alla sfida di rafforzare le proprie difese, proteggere i paesi della comunità socialista e mantenere le sue forze armate adeguatamente equipaggiate con armi aggiornate. Ma l’Unione Sovietica è stata e rimane il sostenitore più coerente della limitazione della corsa agli armamenti, un campione del disarmo sotto un effettivo controllo internazionale.”

(Ponomarev 1983, 53)

Inoltre, alla fine degli anni ’70, la Guerra Fredda diventò decisamente calda. Le potenze occidentali si impegnarono in una massiccia operazione di “rollback”, sostenendo le ribellioni contro i governi progressisti in Angola, Afghanistan, Nicaragua, Etiopia, Mozambico, Cambogia e Yemen del Sud. Vijay Prashad scrive che la CIA e il Pentagono “hanno abbandonato l’idea del mero ‘contenimento’ del comunismo a favore dell’uso della forza militare per respingere i suoi sforzi” (Prashad 2012, 112). Tutti gli stati sotto attacco avevano un urgente bisogno di aiuti militari e civili, che l’Unione Sovietica non aveva altra scelta che fornire.

Il culmine di questa “calda” Guerra Fredda fu l’Afghanistan, dove il governo di sinistra del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA) supplicò i leader sovietici di aiutarli a sedare una ribellione fondamentalista islamica generosamente finanziata e armata dagli Stati Uniti.

Le prime truppe russe attraversarono il confine con l’Afghanistan il 25 dicembre 1979. Lo scopo della loro missione era limitato: cercare di ripristinare l’unità all’interno del PDPA, aiutare l’esercito afghano a prendere il sopravvento sulla rivolta e tornare presto a casa.

“L’obiettivo non era l’occupazione del paese. Era mettere al sicuro le città e le strade fra queste, e ritirarsi appena il governo afgano e le sue forze armate sarebbero stati pronti a prendere su di sé questa responsabilità”

(Braithwaite 2012, 123)

L’intervento si rivelò molto più difficile, complesso e prolungato di quanto i sovietici avessero immaginato. I loro alleati afghani erano divisi e spesso demoralizzati; nel frattempo i loro nemici erano armati di armi sofisticate, avevano un sostegno significativo tra la popolazione rurale, erano alimentati da un odio veemente nei confronti dei russi e potevano sfruttare il territorio montuoso dell’Afghanistan a loro vantaggio. Nel frattempo l’Armata Rossa non è stata addestrata per una guerra di contro-insurrezione. L’ultima grande guerra che aveva combattuto era stata la seconda guerra mondiale. Lo scrive Odd Arne Westad:

Dal 1981 in poi la guerra si trasformò in una sanguinosa situazione di stallo, in cui morirono più di un milione di afgani e almeno 25.000 sovietici. Nonostante gli sforzi ben pianificati, l’Armata Rossa semplicemente non poteva controllare le aree che si trovavano all’interno delle sue zone operative: avanzava nelle roccaforti ribelli, le teneva occupate per settimane o mesi, e poi doveva ritirarsi mentre i Mujahedin concentravano le loro forze o , più spesso, perché i suoi avversari avevano attaccato altrove.”

(Westad 2007, 356)

L’Armata Rossa non ha perso nessuna delle sue principali battaglie in Afghanistan; ha vinto il controllo di centinaia di città, villaggi e strade, solo per perderli di nuovo quando la sua attenzione si è spostata altrove. Gli Stati Uniti hanno dispiegato armi sempre più sofisticate ai gruppi ribelli al ritmo giusto per prolungare la guerra.

L’Armata Rossa iniziò un ritiro graduale il 15 maggio 1988. Non era stata sconfitta in quanto tale, ma aveva manifestamente fallito nei suoi obiettivi di cementare il dominio del PDPA e sopprimere la ribellione. Nel frattempo, l’Unione Sovietica aveva speso vaste risorse economiche, militari e umane. Migliaia di giovani vite sono state perse. L’influenza diplomatica sovietica era stata ridotta. La legittimità popolare del PCUS è stata danneggiata, proprio come avevano sperato gli strateghi statunitensi, Zbigniew Brzezinski, che era consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti all’epoca dell’intervento sovietico e che aveva parlato specificamente di “l’opportunità di dare all’URSS la sua guerra in Vietnam ” (Brzezinski 1998).

L’Afghanistan e la corsa agli armamenti non sono stati affatto l’unico, o addirittura il principale, fattore della fine dell’Unione Sovietica, ma hanno sicuramente contribuito.

La Cina ha invece potuto godere di un lungo periodo di pace. L’esercito volontario del popolo cinese ha dimostrato durante la guerra di Corea (la guerra per resistere all’aggressione degli Stati Uniti e aiutare la Corea) del 1950-1953 che la Cina popolare era disposta e in grado di difendersi dagli attacchi, e senza dubbio gli Stati Uniti hanno tratto la lezione appropriata dal fatto che qualsiasi esercito operazione contro di essa sarebbe altamente rischiosa.

La leadership del PCC dopo il 1978 si rese conto che, inserendo la Cina nelle catene di approvvigionamento globali emergenti, la Cina poteva diventare sufficientemente importante per il funzionamento dell’economia globale che gli stati imperialisti avrebbero dovuto riflettere molto attentamente sulla saggezza di attaccare o isolare esso. Jude Woodward osserva che l’ascesa della Cina ha costretto molti paesi a perseguire buoni rapporti con essa, anche se si oppongono alla sua ideologia.

“Vicini piuttosto sviluppati come la Corea del Sud o Taiwan sono profondamente impegnati economicamente con la Cina [continentale] e non vogliono che questa deragli. . . . Persino gli alleati europei dell’America, in particolare Germania, Francia e Gran Bretagna, erano pronti a ignorare l’opinione degli Stati Uniti sulla Cina quando hanno aderito all’AIIB [Asian Infrastructure Investment Bank].”

(Woodward 2017, chapter 16, 251)

Ciò potrebbe essere pensato come una sorta di parità strategica con le caratteristiche cinesi, con un prezzo molto più basso rispetto al suo equivalente sovietico. Inoltre, l’integrazione della Cina nell’economia mondiale le ha permesso di far parte della “rivoluzione tecnologica globale senza precedenti, offrendo al Paese una scorciatoia per accelerare la sua trasformazione industriale e migliorare la sua struttura economica” (Clegg 2009, chapter 7, 129).

Nel contesto internazionale relativamente sicuro costruito dal governo della RPC, la Cina è stata in grado di ridurre la sua spesa militare da circa il 7 per cento del PIL nel 1978 a circa il 2 per cento attualmente, consentendo maggiori risorse da destinare al miglioramento degli standard di vita. Sebbene la sua strategia non le permetta di svolgere un ruolo militare attivo nella difesa di stati e movimenti amici, la forza economica della Cina significa che è in grado di fornire un supporto cruciale ai paesi progressisti di tutto il mondo.

CONCLUSIONI

Finché il Socialismo non collasserà in Cina, esso avrà sempre una presa sul mondo.

(Deng 2007)

In Occidente, dopo il crollo del socialismo europeo, si pensava ampiamente che la Cina avrebbe subito un simile processo di controrivoluzione. Tre decenni dopo, è evidente che la Cina non sta seguendo la stessa traiettoria. Il suo processo di riforma ha avuto molto successo; la qualità della vita della popolazione continua a migliorare; sta emergendo come leader globale nella scienza, nell’innovazione tecnologica e nella conservazione dell’ambiente; il separatismo nazionalista viene efficacemente contenuto; e il Partito Comunista Cinese rimane popolare ed egemonico. In breve, la Cina ha continuato a sviluppare una forma di socialismo adeguata alle proprie condizioni.

Ciò non implica ovviamente che la Repubblica popolare cinese non debba affrontare seri problemi. Il rapido sviluppo ha generato livelli senza precedenti di disuguaglianza e distruzione ambientale. Mentre il tenore di vita è aumentato a tutti i livelli della popolazione, la disparità di reddito è netta e questa è una fonte di notevole attrito sociale. Nel frattempo la politica di concentrare lo sviluppo sulle città costiere orientali e meridionali ha portato a disparità regionali. Il governo del PCC è stato particolarmente concentrato su questi problemi negli ultimi 10-15 anni, ad esempio riducendo la disuguaglianza regionale attraverso investimenti preferenziali nelle aree più povere. Nel frattempo, la Cina ha compiuto passi significativi nel migliorare il proprio record ambientale, emergendo come una forza trainante nella battaglia globale contro il crollo climatico (Finamore 2018).

Gli economisti cinesi parlano spesso del “vantaggio dei ritardatari” nel mondo della tecnologia, per cui “l’innovazione tecnologica e l’aggiornamento industriale possono essere raggiunti mediante l’imitazione, l’importazione e/o l’integrazione di tecnologie e industrie esistenti, il che implica costi di ricerca e sviluppo molto inferiori ” (Lin 2013). In un certo senso  questa idea si applica anche al mondo della politica. L’URSS è stato il primo stato socialista del mondo, e come tale i suoi successi e i suoi errori costituiscono materia prima indispensabile per lo studio della società socialista. Il PCC è stato assiduo nell’apprendere dalla scomparsa sovietica per evitare di subire un destino simile. David Shambaugh, citando uno studio dell’Accademia cinese delle scienze sociali, riassume alcune delle lezioni chiave che il PCC ha cercato di assorbire. Questi includono

il concentrarsi sullo sviluppo economico e sul miglioramento continuo del tenore di vita delle persone”, “sostenere il marxismo come ideologia guida”, “rafforzare la leadership del partito” e “rafforzare continuamente gli sforzi sulla costruzione del partito, specialmente nei settori dell’ideologia, dell’immagine, dell’organizzazione e della democrazia centralismo, al fine di salvaguardare il potere di leadership nelle mani di leali marxisti. (Shambaugh 2008, 77)

La questione del mantenimento di uno stato operaio e della prevenzione dell’ascesa e del dominio dei “liberali” filocapitalisti è probabilmente la lezione più importante da trarre dal crollo dell’URSS. Anche con le difficoltà economiche in corso, è perfettamente concepibile che il socialismo sovietico sarebbe potuto sopravvivere se la massima leadership non avesse effettivamente abbandonato il progetto. In questo senso, Gorbaciov e i suoi stretti collaboratori hanno una responsabilità significativa per la fine dell’Unione Sovietica. Allen Lynch, ricercatore di politica russa presso l’Università della Virginia, ipotizza che, se il predecessore di Gorbaciov, Yuri Andropov, fosse vissuto più a lungo (è morto all’età di 69 anni dopo appena un anno come segretario generale del PCUS), le cose sarebbero potute essere molto diverso.

A giudicare dalle dichiarazioni programmatiche di Andropov nel 1982-83, così come dalla sua lunga carriera al vertice della politica sovietica, non c’è dubbio che non avrebbe approvato nulla di lontanamente simile alle riforme politiche di Gorbaciov o che avrebbe esitato a usare la forza per fermare le sfide pubbliche al governo comunista. Inoltre, le reti di Andropov nel Partito, nel KGB, nel governo e nell’esercito erano incomparabilmente più forti di quelle di Gorbaciov e avrebbe potuto benissimo far leva su una valida coalizione per una riforma frammentaria dell’economia sovietica. (Lynch 2012)

Pertanto, la dissoluzione dell’Unione Sovietica non fu causata dall’istituzione socialista o dal sistema stesso. Invece, fu un risultato inevitabile del tradimento della leadership di Gorbaciov e di Eltsin al socialismo. Le lezioni del crollo dell’Unione Sovietica devono essere apprese a fondo dai restanti – e futuri – stati socialisti così come dalla classe operaia globale nel suo insieme. Nella fase attuale della storia, in cui questi Stati costituiscono una minoranza e si trovano ad affrontare un potente nemico ideologico che è determinato a indebolirli, queste lezioni sono ampiamente applicabili. Costituiscono una parte fondamentale della grande eredità che l’esperienza sovietica lascia alla classe operaia globale.

Il progetto sovietico non è affatto una reliquia storica; la sua esperienza è rilevante e persino cruciale per la politica contemporanea. Le gesta eroiche del popolo sovietico continuano a vivere in Cina, Vietnam, Cuba, Laos e Corea; negli stati e nei movimenti socialisti e progressisti in tutto il mondo. Anche nei territori dell’ex Unione Sovietica e degli ex stati socialisti in Europa, il ricordo di tempi migliori sopravvive (non ultimo nella notevole difesa e conservazione delle conquiste, delle tradizioni e delle forme sovietiche in Bielorussia). Le loro popolazioni iniziano, come aveva predetto Fidel Castro, a rimpiangere la controrivoluzione, a perdere “quei paesi ordinati, dove tutti avevano vestiti, cibo, medicine, istruzione, e non c’era criminalità, nessuna mafia”; stanno cominciando a “rendere conto del grande errore storico che hanno commesso quando hanno distrutto il socialismo” (Castro 1995).

Il progetto socialista vive in Cina e diventa ogni giorno più forte. Man mano che la qualità della vita raggiunge e supera gradualmente quella dei principali paesi capitalistici e la Cina emerge come leader globale nella scienza e nella tecnologia e come forza per la pace, il multipolarismo e la conservazione dell’ambiente, il socialismo cinese sarà ampiamente riconosciuto come un ramo efficace, creativo e adattivo del marxismo.

note

1. Si veda “Confidence in the Chinese President,” Pew Research Centre Global Indicators Database, Spring 2019. Accessed April 28, 2020. https://www.pewresearch.org/global/database/indicator/69/country/cn/.

2. Si veda “Yougov Public Figure: Boris Johnson,” February 2020, https://yougov.co.uk/topics/politics/explore/public_figure/Boris_Johnson.

RIFERIMENTI

Ball, P. 2018. “China’s Great Leap Forward in Science.” The Guardian, February18. Accessed April 28, 2020. https://www.theguardian.com/science/2018/feb/18/china-great-leap-forward-science-research-innovation-investment-5g-genetics-quantum-internet.

Braithwaite, R. 2012. Afgantsy: The Russians in Afghanistan 1979–89. London: Profile Books.

Brzezinski, Z. 1998. “Interview with Le Nouvel Observateur.” Accessed April 28, 2020. https://dgibbs.faculty.arizona.edu/brzezinski_interview.

Castro, F. 1995. “Discurso pronunciado por Fidel Castro Ruz, Presidente de la República de Cuba, en la recepción efectuada en el Palacio de la Reunificacion. Ciudad Ho Chi Minh, Viet Nam, 10 de diciembre de 1995” [Address by Fidel Castro Luz, President of the Republic of Cuba, at a Reception at the Palace of Unification. Ho Chi Minh City, Vietnam, 10 December 1995]. Cuba.cu. Accessed February 18, 2021. http://www.cuba.cu/gobierno/discursos/1995/esp/f101295e.html.

Castro, F. 2013. Cuba and Angola: Fighting for Africa’s Freedom and Our Own. New York, NY: Pathfinder Press.

Cheng, E., and Z. Liu. 2017. “The Historical Contribution of the October Revolution to the Economic and Social Development of the Soviet Union—Analysis of the Soviet Economic Model and the Causes of Its Dramatic End.” International Critical Thought 7 (3): 297–308.

Clegg, J. 2009.China’s Global Strategy: Towards a Multipolar World. London: Pluto Press.

Deng, X. 1980. “Answers to the Italian Journalist Oriana Fallaci.” People.cn, August 21. Accessed April 28, 2020. http://en.people.cn/dengxp/vol2/text/b1470.html.

Deng, X. 1984. “We Regard Reform as a Revolution.” China.org.cn, October10. Accessed April 28, 2020. http://www.china.org.cn/english/features/dengxiaoping/103366.htm.

Deng, X. 1992. “Excerpts from Talks Given in Wuchang, Shenzhen, Zhuhai and Shanghai.” People.cn. Accessed April 28, 2020. http://en.people.cn/dengxp/vol3/text/d1200.html.

Deng, X. 2001. “Uphold the Four Cardinal Principles (1979).” In Selected Works of Deng Xiaoping, 1975–1982, 166–191. Honolulu, HI: University Press of the Pacific.

Deng, X. 2007. “We Must Adhere to Socialism: A Talk with Julius Kambarage Nyerere, Former President of Tanzania, Chairman of the Tanzanian Revolutionary Party and Chairman of the South Commission, November 23, 1989.” China Daily. Accessed April 28, 2020. http://www.chinadaily.com.cn/china/2007-09/30/content_6148311.htm.

Finamore, B. 2018. Will China Save the Planet? Environmental Futures. Cambridge: Polity Books.

Gupta, R. 2020. “China on Target to Eliminate Extreme Poverty by 2020.” China.org.cn, January 21. Accessed April 28, 2020. http://www.china.org.cn/opinion/2020-01/21/content_75636612.htm.

Hu, A. 2011. China in 2020: A New Type of Superpower. Washington, DC: Brookings Institution Press.

Jacques, M. 2009. When China Rules the World: The End of the Western World and the Birth of a New Global Order. New York: Penguin Press.

Kotz, D. M., and F. Weir. 1997. Revolution from Above: The Demise of the Soviet System. New York: Routledge.

Kroeber, A. R. 2016. China’s Economy: What Everyone Needs to Know. New York: Oxford University Press.

Ligachev, Y. 1996. Inside Gorbachev’s Kremlin: The Memoirs of Yegor. Boulder, CO: Westview Press.

Lin, J. Y. 2012. Demystifying the Chinese Economy. Cambridge: Cambridge University Press.

Lin, J. Y. 2013. “Advantage of Being a Latecomer.” China.org.cn, August 7. Accessed April 28, 2020. http://www.china.org.cn/opinion/2013-08/07/content_29646629.htm.

Losurdo, D. 2017. “Has China Turned to Capitalism? Reflections on the Transition from Capitalism to Socialism.” International Critical Thought 7 (1) 2017: 15–31.

Lynch, A. 2012. “Deng’s and Gorbachev’s Reform Strategies Compared.” Russia in Global Affairs, June 24. Accessed April 28, 2020. https://eng.globalaffairs.ru/articles/dengs-and-gorbachevs-reform-strategies-compared/.

Nolan, P. 1995.China’s Rise, Russia’s Fall: Politics, Economics and Planning in the Transition from Stalinism. New York: St. Martin’s Press.

Nolan, P. 2016. Understanding China: The Silk Road and the Communist Manifesto. New York: Routledge.

Pantsov, A, and S. Levine. 2015. Deng Xiaoping: A Revolutionary Life. Oxford: Oxford University Press.

Ponomarev, B. N. 1983. Marxism-Leninism in Today’s World, a Living and Effective Teaching: A Reply to Critics. 1st English ed. Oxford: Pergamon Press.

Prashad, V. 2012. The Poorer Nations: A Possible History of the Global South. London: Verso.

Roberts, M. 2017. “The Russian Revolution: Some Economic Notes.” Michael Robert’s Blog, November 8. Accessed April 28, 2020.  https://thenextrecession.wordpress.com/2017/11/08/the-russian-revolution-some-economic-notes/.

Rudolph, J. M., and M. Szonyi, eds. 2018.The China Questions: Critical Insights into a Rising Power. Cambridge, MA: Harvard University Press.

Shambaugh, D. L. 2008. China’s Communist Party: Atrophy and Adaptation. Washington, DC: Woodrow Wilson Center Press.

Westad, O. A. 2007. The Global Cold War: Third World Interventions and the Making of Our Times. Cambridge: Cambridge University Press.

Woodward, J. 2017. The US vs China: Asia’s New Cold War? Manchester: Manchester University Press.

Xi, J. 2014. Xi Jinping: The Governance of China, vol. 1. Beijing: Foreign Languages Press.

Zhang, W. 2012. The China Wave: Rise of a Civilizational State. Hackensack, NJ: World Century.

Zhang, W. 2014. “My Personal Memories as Deng Xiaoping’s Interpreter: From Oriana Fallaci to Kim Il-sung to Gorbachev.” Guancha, August 26. Accessed April 28, 2020. https://www.guancha.cn/ZhangWeiWei/2014_08_26_260544.shtml.

Zubok, V. M. 2007. A Failed Empire: The Soviet Union in the Cold War from Stalin to Gorbachev—The New Cold War History. Chapel Hill: University of North Carolina Press.

Zyuganov, G. 1997. Gennady My Russia: The Political Autobiography of Gennady Zyuganov Armonk. New York: M. E. Sharpe.