DI LEONARDO SINIGAGLIA

Il 4 agosto del 1914 le truppe del Reich tedesco invadevano il neutrale Belgio, dando inizio così alle operazioni militari su larga scala in Occidente del Primo Conflitto Mondiale. La conflagrazione dell’urto delle potenze imperialiste sconvolse non solo la geografia politica mondiale, ma, essendo essenzialmente un risultato ovvio della “fase suprema” del capitalismo, non poté che contribuire ad accelerare le tendenze già manifestatesi. L’accrescimento di alcune potenze a discapito di altre, con la prima manifestazione concreta degli Stati Uniti come “superpotenza”, l’irrigidimento e la militarizzazione delle società coinvolte, il raggiungimento dell’egemonia franco-britannica in Inghilterra, il crescente ruolo dello Stato come garante del monopolismo capitalista, i tentativi d’espulsione dei capitali tedeschi dai mercati dove erano concorrenziali, si veda per esempio la limitazione alla marina sia commerciale che bellica, ma anche l’intensificarsi della lotta di classe che si concretizzò in un’ondata rivoluzionaria che investì tutto l’Occidente, in primis la Russia zarista, non rappresentano che l’esito di processi che avevano le loro origini nel secolo precedente, che quindi non si sono materializzati nella guerra e per essa, ma anzi rappresentavano il dispiegarsi della natura della società capitalista giunta ad un certo grado di maturazione. Lenin, nella prefazione alla prima edizione del l suo testo “Stato e Rivoluzione” (1917), enuncia ciò perfettamente: “La guerra imperialistica ha accelerato e acutizzato a un grado estremo il processo di trasformazione del capitalismo monopolistico in capitalismo monopolistico di Stato. L’oppressione mostruosa delle masse lavoratrici da parte dello Stato, il quale si fonda sempre più strettamente con le onnipotenti associazioni dei capitalisti, acquista proporzioni sempre più mostruose. I paesi più avanzati si trasformano in case di pena militari per gli operai”. Vi è di fondo la comprensione di un fenomeno tutt’altro che scontata, visto che gran parte di quelli che erano i partiti della socialdemocrazia ufficiale, dalla Francia alla Germania, lessero nello scoppio di questa guerra non già un prodotto delle tendenze distruttive ed omicide dell’imperialismo, ma un imprevisto, una sorta di “emergenza” che scompaginava le carte, e che richiedeva quindi un riposizionamento dato dall’estrema imprevedibilità della situazione. La rivalità fra le grandi potenze per accaparrarsi sempre più mercati e territori era un qualcosa di registrabile da tempo, eppure “i mascalzoni del socialsciovinismo, nel 1914-1917, quando appunto questa rivalità, diventata ancora più acuta, ha generato la guerra imperialista, coprono la difesa degli interessi predatori della <loro> borghesia con frasi sulla <difesa della patria>, sulla <difesa della rivoluzione e della repubblica>, ecc!” (V. Lenin, Stato e Rivoluzione). “Socialsciovinisti” vennero definiti dai futuri bolscevichi e dai loro epigoni internazionali quei “socialisti a parole, sciovinisti nei fatti”, membri della Seconda Internazionale che allo scoppio delle ostilità votarono i crediti di guerra e sostennero lo Stato borghese del proprio paese vedendo nella nuova situazione bellica un particolare momento di interesse convergente con la borghesia. La paura dell’invasione straniera, alimentata dalla mistificazione di ogni potenza imperialista che propagandava il proprio stato come vittima di un’aggressione, permetteva di congelare la lotta di classe e di giustificare ogni provvedimento governativo in nome di un “interesse generale” artificioso ed irreale. Mettendosi alla coda delle forze statali borghesi i “socialsciovinisti” ne legittimavano l’operato politico diventandone complici, senza peraltro adempiere al compito della “difesa della Patria” o delle vite che si volevano in pericolo, come dimostrano i milioni di morti e le acutissime repressioni scatenate in ogni paese contro popolazioni stremate e costrette in condizioni sempre più intollerabili.
Nonostante questa compagine fu grande nel numero, con la Rivoluzione Bolscevica e l’instaurazione dei regimi fascisti sembrava ormai compresa la lezione storica della Grande Guerra: la forza statale borghese non agisce mai nell’interesse delle masse lavoratrici, e anche quando il momento sembra critico ed emergenziale, accodarsi a queste significa sostanzialmente tradire ogni ideale socialista ed interesse concreto del popolo. Ma nonostante ciò, a poco più di un secolo dalla fine di quel conflitto, gran parte della sinistra radicale è ricaduta sistematicamente nello stesso errore. Ancora una volta abbiamo grandi rivoluzionari impegnati a propagandare e mettere in pratica in maniera acritica qualsiasi imposizione governativa in nome di un supposto “interesse generale” che magicamente accomunerebbe oppressi ed oppressori, chi fino a ieri era impegnato in una guerra di sterminio contro il popolo e chi invece era costretto a subirla. Non si tratta più però di una guerra contro un nemico straniero, ma quella contro “il nemico invisibile”, il Covid-19, che ha causato la resa da parte dei più massimalisti dei comunisti rivoluzionari di ogni facoltà critica nei confronti dell’ordinamento liberal-borghese. “In gioco ci sono delle vite -dicono loro- e quindi non possiamo far altro che obbedire al governo”: e quindi si legittima ogni provvedimento sbirresco, ogni rafforzamento del controllo politico e sociale, ogni provvedimento disciplinare, ogni imposizione arbitraria. Di più: per conquistare agli occhi dei “vincenti” una legittimità politica ci si sforza di essere più realisti del re, di apparire come i più integerrimi difensori ed esecutori di ogni politica varata dal governo. La questione in ciò non è sanitaria, ma politica. L’appoggio o la critica ad una determinata pratica sanitaria non può essere in nessun caso precedente ad un’analisi politica, e quindi di classe, delle forze in campo. E questo dovrebbe essere evidente, ancora più evidente, se al governo si ha Mario Draghi!
Partendo da queste semplici ed incontestabili basi si sarebbero dovute analizzare le varie pratiche dei governi Occidentali, dall’interminabile lockdown ad intermittenza del 2020 agli attuali pass sanitari, sforzandosi di vedere ciò non come un gesto isolato giustificato dalla propaganda, ma come azioni tutt’altro che disinteressate o casuali. Non è infatti un caso che proprio i settori egemonici del capitalismo internazionale, ossia quelli legati al capitale finanziario, al settore informatico e ai “big data”, si siano schierati in maniera decisa a favore delle politiche di distanziamento permanente, dello smart-working e della ristrutturazione in senso autoritario della politica e degli spazi di dibattito. E non è nemmeno un caso che nessuno in Occidente, nonostante la retorica, abbia affrontato la pandemia dal punto di vista sanitario: l’orizzonte mentale neoliberista si fonda sul dogma della scarsità delle risorse e dell’impossibilità di un equa distribuzione di queste, quindi il numero di medici, ospedali e posti letto, deciso dal mercato attraverso decenni di tagli, non può essere in nessun modo aumentato, ma deve necessariamente esser fatto combaciare con le esigenze delle persone…colpevolizzando la loro domanda. Se una persona sta male, la colpa è sua o di chi ha “abbassato la guardia”. Se poche decine di malati necessitanti di cure intensive fanno collassare la sanità di intere regioni, il problema è individuato nei malati e nel morbo, non già in sistemi sanitari evidentemente non congrui alla dimensione della popolazioni. Si potrebbe accettare come semplicemente ingenuo un discorso del genere se la sanità in condizioni ordinarie avesse sempre funzionato perfettamente, ma nella realtà dei fatti il sovraffollamento degli ospedali è sempre stato una realtà innegabile. Come si fa davanti a tutto ciò a perseguire ancora nella caccia all’untore, al non vaccinato, al disattento? Si può fare solo avendo interiorizzato non solo la mentalità neoliberista, ma anche un feticistico culto dell’autorità per il quale l’ordine costituito, in un modo o nell’altro, ha di per sé una ragione che è in larga parte incontestabile. E così, sposando ciò con la dimensione scientifico-sanitaria, vediamo come chi si permette di criticare l’operato del nostro governo, magari negando la necessità medica di provvedere a vaccinare categorie per le quali il Covid è sempre stato più un nome spaventoso che una realtà del quale interessarsi, venga non solo accusato di essere un eversore politico, ma anche un ignorante, un idiota, un matto. I nostri rivoluzionari, fra un ricordo della rivoluzione d’ottobre e uno strale a favore di Cuba socialista, si sono posti servizievolmente al servizio della <> borghesia, che non è più quella industriale nazionale, ma è quella finanziaria cosmopolita, che infatti detta loro le linee guida morali e politiche, aiutandola nell’opera del consolidamento del suo potere a discapito degli interessi delle masse popolari.
L’emergenza sanitaria creatasi in gran parte del mondo non è il risultato di una punizione divina da placare tramite “sacrifici”, ma la logica conseguenza della mercificazione della sanità, del degradarsi degli spazi abitativi, dei problemi ambientali e zootecnici e della creazione di enormi metropoli che contano decine di milioni di abitanti. Il fatto che sia stato il Covid-19 e non qualsiasi altra malattia a scatenare la pandemia è puro caso. Allo stesso modo possiamo vedere come i provvedimenti degli Stati liberali non siano stati frutto di una imprevedibile emergenza, ma la logica continuazione di determinati processi intrinseci al sistema capitalistico nella presente fase. Karl Radek definì il Fascismo come “ il cerchio di ferro che serve a tenere assieme la botte sfasciata del capitalismo”. Allo stesso modo possiamo pensare all’evoluzione degli Stati liberali degli ultimi due anni come una reazione alla crescente crisi sociale e alla sempre più concreta pressione geopolitica da parte dei paesi antimperialisti. Determinati spazi di dibattito e di dissenso semplicemente non sono più compatibili con l’ordinamento liberale, che necessita ora invece di un sempre maggiore controllo sui suoi cittadini attraverso non solo la presenza della forza pubblica, ma anche in materia di disciplinamento sociale e di accettazione incontrastata dell’autorità statale. Il tutto inoltre si sposa perfettamente con gli interessi economici dei principati trust capitalistici: lo smart-working, le interazioni digitali e l’e-commerce forniscono una quantità di dati e di transazioni esponenzialmente più elevate. E non potrebbe che combaciare con gli interessi geopolitici del blocco atlantico: una società abituata a ricercare un nemico oggettivo da combattere, chiusa, estremamente disciplinata ed ortodossamente devota dallo Stato è proprio ciò che conviene a chi si appresta a scatenare la propria offensiva delle Ardenne per tentare, inutilmente, di evitare il crollo.
La questione poi diventa particolarmente evidente nel caso del Green Pass, che qui da noi dovrebbe diventare realtà a fine settimana, e che mentre in Francia è stato accolto da manifestazioni trasversali, scioperi e dall’opposizione risoluta della sinistra radicale, qui vede l’appoggio pressoché incondizionato di chi ha combattuto per tutta la vita contro il controllo e la repressione dello Stato borghese. La creazione del capro espiatorio eterno del “no-vax” permette di allontanare la colpa di ogni disservizio, problema o calamità dalla sua reale causa sistemica rappresenta un utilissimo strumento di governo da parte del regime liberale, mentre la legittimazione di una discriminazione in seno alla cittadinanza, con impossibilità forse anche di accedere in toto agli spazi pubblici, sulla base peraltro di dubbi e contestati dati sanitari, da vita ad un pericolosissimo precedente.
Fortunatamente ciò è stato inteso da certa parte, minoritaria, dell’area comunista, anche se spesso in ritardo o ancora in maniera estremamente ambigua. Ciò dimostra la sostanziale arretratezza del movimento comunista occidentale, abituato a mascherare con una fraseologia massimalista quello che alla fine è un concreto atteggiamento politico collaborazionista, reazionario ed opportunista, fondato sull’identitarismo e sulla pigrizia mentale più che sull’analisi scientifica della realtà materiale. Ciò consiste un problema, ma fino ad un certo punto. Senza dubbio dovremo fare a meno dell’aiuto di tanti “compagni” divenuti ora pretoriani di Draghi e Speranza, ma, superati ormai dalla coscienza delle masse, saranno questi subire il tracollo politico. Non ci si deve preoccupare se quindi tanti “compagni” si scagliano contro chi coerentemente e giustamente contrasta l’operato del governo: essi non rappresentano ormai che un soggetto reazionario, già dimenticato dalla storia, una realtà in avanzato stato di decomposizione che non sopravviverà al decennio. E questo è un bene.