Domani 12 giugno si svolgerà il referendum sulla “giustizia”, proposto da due partiti di estrema destra: radicali e lega.
Analizziamo i 5 punti su cui gli italiani avranno diritto di decidere sull’abrogazione o meno delle rispettive leggi.

1. Incandidabilità e decadenza

Il primo quesito, contrassegnato dalla scheda rossa, riguarda l’abrogazione del testo unico sull’incandidabilità e sul divieto di ricoprire cariche elettive di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per “delitti non colposi”, ergo volontari.
Cosa significa? Significa che attualmente chi è stato condannato in definitiva per alcuni tipi di reato come collaborazione con la mafia, terrorismo, o atti contro la pubblica amministrazione, non può candidarsi nelle competizioni elettorali – di qualunque tipo: da quelle locali a quelle parlamentari.
Votando “sì” si toglie tale automatismo, e toccherà ai giudici – possibilmente corrotti – decidere caso per caso se un condannato per i reati sopra citati possa candidarsi o meno.
Perché votiamo “no”? Perché, anche se non è tanto difficile per chi è contro il sistema commettere reati come quelli relativi ad “atti contro la pubblica amministrazione” e “terrorismo”, con tale abrogazione del testo unico attuale cambierà nulla per chi è contro il sistema, e cambierà tutto, a favore, per chi ha collegamenti col terrorismo di stampo nazifascista del secolo scorso e, soprattutto, con chi ha collegamenti con la mafia. Non a caso il testo è stato proposto (anche) dalla lega, che è uno dei partiti con più condannati e indagati, insieme a pd e fratelli d’italia per scambio di voti e facilitazione di appalti con la mafia. Se passa il “no”, la sorte dei loro candidati corrotti sarà tutta nelle mani dei giudici, che ricordiamo, possono esser anch’essi facilmente corrotti.

2. Custodia cautelare

Il secondo quesito, contrassegnato dalla scheda arancione, interviene sulla limitazione delle misure cautelari, con l’abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari ed esigenze cautelari, in un processo penale.
In sintesi attualmente la carcerazione preventiva (cioè la detenzione fino al verdetto definitivo della pena) può essere disposta nei casi in cui venga ravvisato un possibile rischio di inquinamento delle prove in un’inchiesta (si pensi ad un omicida che ha tempo di insabbiare le prove), di fuga di chi è sottoposto a indagine, e il “concreto ed attuale pericolo” di reiterazione del reato. Il quesito referendario proposto interviene su quest’ultimo aspetto, chiedendo di limitare i casi in cui può essere disposta la misura cautelare per rischio di reiterazione – anche se già si parla di “concreto ed attuale pericolo”.
Chi sostiene le ragioni del “sì” intende abrogare l’ipotesi di reiterazione per alcuni reati che prevedono pene minori e, lo sottolineamo, per il reato di finanziamento illecito dei partiti. Chi è per il “no” sottolinea che il codice già prevede dei limiti, poiché il carcere come misura cautelare è possibile per reati che prevedono la reclusione non inferiore a cinque anni.
Cosa cambia? Cambia che anche qui si vuole facilitare la vita a chi ha collegamenti con la mafia, dando agli indagati la possibilità di scorrazzare liberi nei tempi di investigazione e nel lungo corso della giustizia in Italia (visto che per una sentenza ci vogliono mesi). Nel frattempo non è difficile immaginare quante cose un mafioso o filo-mafioso possa fare, dialogando con figure istituzionali o altri criminali – cosa che ora è possibile fare più che altro via terzi, in quanto il possibile condannato viene preventivamente detenuto. Non è anche questa una sorta di inquinamento delle prove, seppur non considerata tale?
Per questo noi diciamo “no”.

3. Separazione delle carriere

Col terzo quesito, contraddistinto dalla scheda gialla, gli elettori sono chiamati ad esprimersi sulla separazione delle funzioni dei magistrati. Il quesito chiede l’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono a un magistrato di passare dalle funzioni di pubblico ministero a quelle di giudice, e viceversa. Il referendum punta a rendere la scelta definitiva: se passa il “sì” proposto dai partiti di estrema destra, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo per tutta la carriera, con l’obiettivo di distinguere nettamente chi giudica da chi accusa.
Noi siamo per il “no”, perché se è vero che un magistrato dovrebbe evitare di fare il cambio di casacca a seconda di come gira l’aria e i soldi, è altrettanto vero che non si può e non è giusto relegare a vita una persona ad un determinato ruolo. Di fatto, se passa il “sì” e la legge viene abrogata, avverrà una separazione tra le carriere, che per ora avevano un confine sfumato (per la quale ci vorrebbe quindi anche un concorso di accesso alla magistratura distinto per giudici e pm e un doppio Csm). Questa riforma in particolare era fortemente voluta dalla P2 di Licio Gelli; ne parleremo nella conclusione.

4. Valutazione dei magistrati

Il quarto quesito, caratterizzato dalla scheda grigia, è forse il punto meno insensato.
Al momento il giudizio sull’operato dei magistrati è riservata al Csm (Consiglio superiore della magistratura), che decide anche sulla base di valutazioni espresse dai Consigli giudiziari a livello territoriale. Il quesito riguarda la “partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte”.
In parole povere vuol dire che tutti i “membri laici” che fanno parte del Consiglio direttivo e dei vari Consigli giudiziari, cioè docenti di materie di legge e avvocati, col “sì” avranno diritto di esprimere le proprie valutazioni sull’operato dei magistrati, che al momento si giudicano tra di loro all’interno del settore.
L’opinione dei docenti, che dovrebbe dare un peso più oggettivo alle valutazioni, porterebbe secondo noi ad un miglioramento della magistratura, ma il giudizio degli avvocati è innegabile che possa esser fazioso contro certi giudici, in quanto loro controparte.
Ci asteniamo dunque dall’esprimere un giudizio sul quarto quesito, che ha in sé una certa potenzialità ma anche una grande criticità.

5. Firme per il Csm

Il quinto quesito, contraddistinto dalla scheda verde, riguarda la “abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura”.
In sintesi con la riforma, proposta anche dal ministro Cartabria, si vuole eliminare il tradizionale processo di elezione dei magistrati del consiglio superiore, che consiste nell’avere il sostegno di almeno 25 togati (e un massimo di 50) con una raccolta firme. In questo modo col “sì” si vuole evitare favoritismi e consolidamento di correnti all’interno della magistratura.
Così come il quarto quesito ha anche questo degli aspetti positivi, in quanto al momento per entrare nel Csm occorre che sia il Csm stesso che decide, dall’alto, chi possa farne parte. Con la riforma invece i singoli magistrati potranno auto-candidarsi per entrare a far parte del Csm.
L’ideale, secondo noi, è lasciare il diritto di nominare i candidati ai giudici di più basso rango, in modo tale da render l’ordine della magistratura più democratico appunto dal basso e non dall’alto.
Se passa il “sì” il Csm sarà molto più facilmente accessibile e il suo scioglimento o ulteriore ridimensionamento (in quanto sarà considerato “inutile” e “accessibile a tutti”) potrebbe essere un obiettivo a lungo termine da parte dell’alta borghesia e il potere politico da essa rappresentata. Non ci sarà alcun risultato qualitativo, e non è considerabile democratico il processo di adesione al Csm, né se passa il “sì” e né se viene mantenuto il “no”.

Conclusione

La “giustizia” borghese non è il modello migliore e da difendere; siamo socialisti, e crediamo che la giustizia debba esser fatta dal popolo stesso con i tribunali popolari e comunali. Ma non viviamo nel mondo dei sogni. Attualmente, il sistema giudiziario italiano, seppur con tutti i suoi colossali difetti – dagli eccessivamente lunghi tempi delle sentenze alla corruzione – è il meno peggio tra le opzioni disponibili. Il punto è il medesimo affrontato già col vergognoso referendum sul taglio dei parlamentari proposto dalla P2: meglio tenerci la merda che già abbiamo piuttosto che peggiorarla ulteriormente solo perché ci fa schifo quella attuale [nostro comunicato sul taglio dei parlamentari].
E anche questo referendum che ridimensiona il ruolo dei magistrati, casualmente, era presente nei punti del “piano di rinascita” della loggia di Licio Gelli, della P2 (Potere 2) [nostro vecchio articolo sulla massoneria], che prevedeva una “riforma della magistratura” con la “separazione delle carriere di P.M. e magistratogiudicante” (vedasi il quesito 3 del referendum di domani) “responsabilità del CSM nei confronti del parlamento, da operare mediante leggi costituzionali”. Nei piani di Gelli c’era in primis il controllo dei mass media, chiave necessaria per raggiungere tutti gli obiettivi. Seppur la loggia sia stata formalmente sciolta, è evidente come, dopo averla fatta dimenticare al popolo italiano non parlandone più presso i mass media già presi sotto controllo dalla loggia stessa, i piani siano stati e sono effettivamente seguiti ancora oggi: il referendum di Renzi li comprendeva praticamente tutti, i punti della “rinascita”, ma il suo flop ha costretto le élite a puntare ad una disgregazione della Costizione passo passo, smantellandola punto dopo punto. La bara ormai ha quasi tutti i chiodi sopra.
Nei mass media italiani – dai notiziari ai salotti di “dibattito” – sono anni che son stati messi sotto i riflettori i magistrati, messi alla gogna e criminalizzati come ordine in toto. Vengono sempre presi e messi sotto i riflettori solo i magistrati che concludono delle sentenze piuttosto controverse, screditando quindi l’ordine della magistratura di per sé.
Come detto prima, contestualizzato in un sistema borghese, il nostro sistema giudiziario ha non poco da insegnare a diversi Paesi occidentali. Ha molto da migliorare anche nei limiti del sistema in cui agisce, ma non è certo questo referendum che lo migliorerà… anzi.
Lo ripetiamo fino a squarciagola: in un sistema borghese la divisione dei 3 poteri di Montesquieu è assolutamente necessaria, e più è netta meglio è.

Invitiamo dunque tutti i militanti e compagni a votare “no” ai quesiti – a parte il quarto punto che è il più sensato, seppur con i suoi lati controversi, e in certi limiti anche il quinto –, o meglio direttamente a non votare, in quanto si prevede già una relativamente bassa affluenza alle urne, e se non si supera il 50% di schede segnate da chi ha diritto di voto, non passerà il quorum e varrà come vittoria per il “no”.