di Leonardo Sinigaglia

Breve premessa, visti i tempi purtroppo necessaria: critica ed autocritica non sono indizi di bellicosità, ma elementi necessari e costitutivi di una dialettica politica che vuole spingere la propria parte verso la crescita e lontano dall’errore.

Su visione.tv, sito dell’omonima piattaforma collegata a Francesco Toscano, due giorni fa è stato pubblicato un articolo dal titolo ‘Non avrai nulla e sarai felice’, e si comincia dalle automobili. Ecco perché. Questo articolo, ora rimosso dal sito ma comunque ancora visibile con ricerca google, prendeva le mosse dal celebre slogan “you will own nothing and you will be happy”, che sintetizza alcune predizioni per i futuri decenni fatte dal World Economic Forum, per collegarlo al piano per l’eliminazione della proprietà privata ad opera di un supposto “capitalismo leninista”.

Primo punto di questo percorso sarebbe per l’autore la progressiva eliminazione dell’autotrasporto privato. Cito testualmente: “I nostri ‘capitalisti leninisti’ del WEF stanno pensando di ridurre la proprietà privata della automobili. Ovviamente la scusa è la ‘sostenibilità ecologica’ durante il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili. […] Se leggiamo sotto questa luce già il progetto di ‘car sharing’ che appariva tanto civile tanto ‘smart city’ comincia ad apparirici sotto una luce più sinistra. Era la tecnica della rana bollita mascherata di civiltà”.

L’autore del testo sicuramente esprime condivisibili preoccupazioni, ma sbaglia completamente nei toni e nell’individuare la dimensione propria dei fenomeni.

Di fondo c’è l’incomprensione fondamentale della terminologia marxista, per la quale la proprietà privata corrisponderebbe a qualsiasi forma di proprietà collegata ad un ‘privato’ cittadino. In realtà non è così.

Innanzitutto è bene ricordare come al centro dell’analisi marxista il concetto di “proprietà privata” sia collegato ai “mezzi di produzione”, non già ai mezzi di sussistenza, ai beni prodotti del lavoro. Fabbriche, campi, miniere e ferrovie quindi, non già automobili, case o effetti personali. La distinzione fra “proprietà personale” e “proprietà privata” nasce con l’introduzione della divisione del lavoro. Con l’introduzione di questa viene a verificarsi la cesura fra produttore e produzione, ponendo fine al controllo dei lavoratori sul processo di produzione: “Essi [i produttori] sanno che cosa avverrà del loro prodotto e lo consumano senza che esso lasci le loro mani, e la produzione, finché viene condotta su questa base, non può soverchiare i produttori né produrre, di fronte a loro, lo spettro di potenze estranee; il che accade regolarmente ed inevitabilmente nella civiltà. Ma in questo processo di produzione si insinua lentamente la divisione del lavoro. Essa mina la comunanza della produzione e dell’appropriazione, innalza a regola prevalente l’appropriazione individuale e produce con ciò lo scambio tra individui […] Gradatamente, la produzione delle merci diventa la forma dominante”. (Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato)

Il processo di produzione, sottratto al controllo dei produttori, diviene “alienato”: “Dunque, col lavoro estraniato, alienato, l’operaio pone in essere il rapporto di un uomo che è estraneo e al di fuori del lavoro, con questo stesso lavoro. Il rapporto dell’operaio col lavoro pone in essere il rapporto del capitalista – o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro – col lavoro. La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria del lavoro alienato, del rapporto di estraneità che si stabilisce tra l’operaio, da un lato, e la natura e lui stesso dall’altro.

La proprietà privata si ricava quindi mediante l’analisi del concetto del lavoro alienato, cioè dell’uomo alienato, del lavoro estraniato, della vita estraniata, dell’uomo estraniato.” (K. Marx, manoscritti economico-filosofici).

L’evoluzione della produzione e delle forme di proprietà giungono attraverso i secoli alla fase capitalista. Ma questo cambiamento non avviene in maniera indolore: le forme di proprietà precedenti vengono abbattute, prima sostanzialmente poi giuridicamente. Così, per fare degli esempi, al lavoro coatto degli schiavi si sostituisce un lavoro formalmente libero, e ai vari privilegi nobiliari, ecclesiastici e corporativi si sostituisce il libero commercio. Questo sviluppo capitalista è però reso possibile concretamente dalla formazione di una grande proprietà, che accentra in sé la piccola proprietà contadina, artigiana e la proprietà comune rimasta in un processo definito di “accumulazione capitalistica”: A partire da questo momento, in seno alla società si muovono forze e passioni che si sentono incatenate da quel modo di produzione: esso deve essere distrutto, e viene distrutto. La sua distruzione, che è la trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi di produzione socialmente concentrati, e quindi la trasformazione della proprietà minuscola di molti nella proprietà colossale di pochi, quindi l’espropriazione della gran massa della popolazione, che viene privata della terra, dei mezzi di sussistenza e degli strumenti di lavoro; questa terribile e difficile espropriazione della massa della popolazione costituisce la preistoria del capitale. Essa comprende tutt’una serie di metodi violenti, dei quali noi abbiamo passato in rassegna solo quelli che fanno epoca come metodi dell’accumulazione originaria del capitale. L’espropriazione dei produttori immediati viene compiuta con il vandalismo più spietato e sotto la spinta delle passioni più infami, più sordide e meschinamente odiose. La proprietà privata acquistata col proprio lavoro, fondata per così dire sulla unione intrinseca della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui, ma, formalmente, è libero. […] Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.” (K.Marx, “Il Capitale”).

Vediamo quindi che nell’analisi marxista la crescita della proprietà privata, la sua concentrazione, può avvenire unicamente per la distruzione della piccola proprietà. La concentrazione del capitale, che oggi assume la forma visibile della scomparsa delle cosiddette piccole e medie imprese o la loro strutturazione come parti di filiere controllate in modo severo da ‘holding’, in passato si è verificata attraverso la distruzione della proprietà comune e la lotta finanche fisica alla piccola proprietà, pensiamo ai famosi ‘enclosure acts’, ma anche alle conquiste coloniali, all’espropriazione coatta della terra e delle risorse dei popoli colonizzati da parte del crescente capitale europeo.

La concentrazione di capitale, conquistato al capitalismo tutto il pianeta, ha visto lo sviluppo dei monopoli, aprendo a quella che Lenin definì come la fase imperialista del capitalismo:

“La libera concorrenza è l’elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest’ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il

monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi. Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti. Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore nell’economia.” (V. Lenin, “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”)

Questo processo di accelerazione dell’accumulazione di capitale, e quindi nel sempre maggiore ridimensionamento del numero di ‘proprietari’ ora appare ancor più avanzato rispetto ai tempi di Lenin. Mentre agli inizi del secolo scorso (il testo di Lenin è del 1907) esistevano diversi raggruppamenti imperialistici che gareggiavano per il controllo del pianeta, ora esiste un unico soggetto imperialista, gli Stati Uniti d’America, il cui capitale ha sottomesso con la forza delle armi tutti i principali concorrenti, riducendoli a diversi gradi di subalternità, che ha potuto godere dal 1989 agli anni ‘10 del XXI secolo una sostanziale egemonia globale.

La “predizione” del WEF appare quindi come ben poco originale, e mostra, più che il dichiarato intento di aggredire la proprietà delle auto, quella che è la tendenza storica del capitalismo: la distruzione della proprietà individuale per l’accrescimento della proprietà privata.

Inglobato ogni capitale minore non resta che convertire persino i beni delle persone in “proprietà privata”, fonte di profitto: da qui l’imposizione del meccanismo dell’affitto, degli abbonamenti, dei mutui ecc…, meccanismo che vediamo oramai imposto violentemente in tutti i settori, dai videogiochi fino alle autovetture, passando per la cinematografia. Caso emblematico è Netflix: mentre l’acquisto di una videocassetta o del cd di un film crea una proprietà individuale oramai “al di fuori” del mercato, un servizio che eroga in streaming film e serie tv potenzialmente all’infinito dietro un pagamento mensile non crea nessuna forma di proprietà individuale (i film ti “sono tolti” al mancato rinnovo), e crea una transazione continua fonte di profitto per l’azienda.

L’accusa mossa al marxismo di voler “annientare la proprietà” non è veritiera, ed è in realtà un luogo comune vecchio quanto gli stessi scritti di Marx. Possiamo infatti leggere nel ‘Manifesto del Partito Comunista’ (K. Marx, F. Engels, 1848):” Ma la moderna proprietà privata borghese è l’ultima e più compiuta espressione della creazione e dell’appropriazione dei prodotti fondata su contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri. In tal senso i comunisti possono riassumere la loro teoria in questa singola espressione: abolizione della proprietà privata. Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà personale, ottenuta con il proprio lavoro; la proprietà che costituirebbe la base di ogni libertà, attività e indipendenza personale. Proprietà guadagnata con il proprio lavoro! Parlate della proprietà piccolo-borghese, piccolo-contadina, che ha preceduto la proprietà borghese? Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell’industria che l’ha abolita e l’abolisce giorno per giorno. Oppure parlate della moderna proprietà privata borghese? Ma il lavoro salariato, il suo lavoro, dà al proletario una proprietà? Niente affatto. Esso crea il capitale, cioè la proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può accrescersi solo a condizione di produrre nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. Nella sua forma attuale, la proprietà deriva dalla contrapposizione di capitale e lavoro salariato. Osserviamo i due lati di questa opposizione. Essere capitalista significa assumere nella produzione una

posizione non solo puramente personale, ma sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima istanza di tutti i membri della società. Il capitale non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale. Se allora il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, che appartiene a tutti i membri della società, in tal modo non si muta una proprietà privata in una proprietà collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà. Essa perde il suo carattere di classe”.

Il World Economic Forum rappresenta fra i centri ideologici più avanzati della classe possidente a livello mondiale. Quello che loro “prevedono” non è altro che il naturale sviluppo delle tendenze intrinseche al capitalismo, già previste da Marx ed Engels: la polarizzazione in due campi sempre più chiari, quello di pochissimi proprietari e quello delle grandi masse private di qualsiasi proprietà. La soluzione storica proposta dal marxismo è la ricostituzione della partecipazione dell’individuo ai processi produttivi tramite la proprietà collettiva di questi. E’ chiaro che l’idea del WEF, che, ancora, null’altro che è che lo sviluppo del capitalismo, e il sistema socialista siano assolutamente antitetici: il primo non prescrive la “fine” della proprietà privata, ma la fine di questa per la stragrande maggioranza dell’umanità, che è esattamente ciò a cui porta la concentrazione capitalistica; il socialismo marxista propone invece non solo il recupero della proprietà individuale, ma anche quello del controllo dei lavoratori sulla propria produzione attraverso l’estensione della proprietà dei mezzi di produzione a tutta la società. Si tratta di prospettive opposte ed inconciliabili.

Continua l’articolo apparso su Visione.tv: “il vecchio leninismo confiscava le proprietà ai contadini accusando della povera gente che era riuscita a fare due soldi lavorando duro la terra di essere ‘sporchi kulaki capitalisti’ […]. Oggi, dopo il crollo del comunismo classico, quella retorica non funziona più: oggi si passa alla terribile CO2 che scioglie i ghiacciai”.

Qui la confusione politica si mischia a quella storica. Il grande contributo ideologico e politico di Lenin al pensiero marxista fu proprio lo sviluppo della questione contadina (oltre che nazionale/coloniale). La rivoluzione d’Ottobre e la creazione dello Stato sovietico fu resa possibile dal supporto popolare ricevuto dal programma bolscevico sintetizzato dallo slogan “pace, pane, terra”, che prescriveva proprio, fra le altre cose, la distribuzione della terra ai contadini. E’ anzi proprio sulla questione contadina che si sviluppa un grande dibattito che oppone da un lato Lenin, seguito poi da Zinoviev, Kamenev e Stalin alla fazione menscevica, Trotsky compreso. Se da un lato i contadini vengono visti come essenziali al fine di costruire la ‘dittatura del proletariato’ (“Che cos’è la dittatura del proletariato secondo Lenin? La dittatura del proletariato è un potere che poggia sull’alleanza del proletariato con le masse lavoratrici contadine per il ‘rovesciamento completo del capitale’, per ‘l’instaurazione e il consolidamento definitivi del socialismo’”, J. Stalin, “La rivoluzione d’Ottobre e la tattica dei comunisti russi”), dall’altro vengono visti come “garanzia antisocialista” (L. Trotsky, “1905”). L’autore parla della confisca della proprietà dei contadini ‘kulaki’, ignorando come la stessa esistenza dei ‘kulaki’ fosse stata resa possibile dalla NEP inaugurata dallo stesso Lenin (morto nel 1924), e che la politica della “eliminazione dei kulaki come classe”, iniziata sul finire degli anni ‘20, facesse parte non già di un piano di “privatizzazione” della proprietà individuale di “povera gente che era riuscita a fare due soldi”, ma di collettivizzazione della proprietà privata di chi, sfruttando la NEP, aveva creato nelle campagne concentrazioni di proprietà sempre più grandi. Con la creazione delle fattorie statali (sovkhoz) e collettive (kolchoz) non si distruggeva “la proprietà”, ma anzi si andava al ripristino di questa!

Andiamo avanti: “Perché cominciare dalle automobili? Perché così limitiamo l’autonomia degli esseri umani nello spostamento, che fu anche uno degli obiettivi della strategia pandemica. Ovviamente la CO2 è solo un pretesto; in questo modo gli esseri umani sono più controllabili: ricordiamo, sempre per fare un esempio dal passato comunista, che in Unione Sovietica esisteva un passaporto interno solo per spostarsi da una città all’altra, e i movimenti erano parecchio limitati”.

L’autore dell’articolo sembra ignorare che meccanismi di “sottrazione” della proprietà delle autovetture sono già da anni a pieno regime sotto la forma di particolari formule di finanziamento, come quella del “futuro valore garantito”, con cui essenzialmente non si diviene mai proprietari dell’auto, potendo cambiarla con un nuovo modello ogni pochi anni senza mai saldare il debito. Inoltre, la connessione diretta fra questi meccanismi e la “transizione ecologica” non appare chiara. Si parla di luci sinistre che dovrebbero illuminarne la connessione, ma al di là della simultaneità dei fenomeni poco si nota.

Parlando di passaporti, potrebbe essere ulteriore elemento di stupore per l’autore scoprire che il medesimo passaporto interno, documento rilasciato ai 16 anni e che attestava l’identità del portatore, non solo agisse in un contesto Federale, quindi di spostamento fra vari Stati, ma sia tuttora in vigore nella Federazione Russa!

In conclusione: ciò che stiamo vivendo, e ciò che è “predetto” dai membri del WEF, non rappresenta il complotto malefico di qualche possidente convertito al leninismo, né un’anomalia della nostra società. Abbiamo davanti anzi la precisa evoluzione terminale del sistema capitalista: la concentrazione della proprietà privata arrivata a tali livelli che la proprietà viene definitivamente persa per la quasi totalità dell’umanità. Non complotto “leninista” quindi, ma proletarizzazione, concentrazione della proprietà, esattamente i fatti su la cui constatazione si basa l’analisi marxista e leninista.

Condurre una lotta politica contro i fantasmi di presunti “capitalisti leninisti” non è solo sbagliato dal punto di vista politico teorico, ma rappresenta anche un assist fatto al campo nemico: la pregiudiziale anticomunista e la credenza che esista una parte della classe possidente “buona” contrapposta a quella “eversiva” rappresentano due vulnus politici che sono facilmente sfruttabili per infiltrazioni e manipolazioni.