L’Italia può vantare più di due millenni di storia e tradizione rivoluzionaria, e questo fermandoci alla prima apparizione del termine “Italia” con uso politico, che risale alle Guerre Sociali ( 91-88 a.C) che videro le plebi rurali rivoltarsi contro il potere dell’aristocrazia dell’Urbe. Si tratta di venti secoli nel quale milioni di persone hanno lottato contro le ingiustizie, per costruire un mondo diverso da quello in cui si trovavano costrette a vivere. Ma ad oggi il loro coraggio e le loro esperienze vengono ricordate solo sui libri di Storia, quando in realtà appartengono alla memoria politica di ogni persona e di ogni formazione che si consideri realmente rivoluzionaria. Da Catilina ai fratelli Rosselli, da Mameli a Secondari, da Masaniello a Campanella, la stragrande maggioranza dei rivoluzionari italiani è stata completamente dimenticata. In questa grave opera di rimozione storica vediamo una delle principali cause della mancata affermazione durevole del Socialismo nel nostro paese dal dopoguerra ad oggi. Slegata dalla sua dimensione storica nazionale, la lotta per il Socialismo immancabilmente diventa unicamente l’affermazione di un’identità estetica e simbolica, destinata a degenerare in sottocultura. 

Per questo noi vogliamo ora lanciare la bandiera del Socialismo italiano: non per contrapporre in maniera idiota e miope figure nazionali a figure straniere, ma unicamente per mostrare al popolo che la via verso il Socialismo e il potere democratico è già stata calcata, e che non si tratta di un sentiero alieno ma assolutamente principale nella nostra storia nazionale.

Abbiamo scelto per questa bandiera cinque delle figure più importanti e conosciute dell’epoca moderna, considerando tanto l’importanza politica quanto la riconoscibilità delle figure. 

Filippo Buonarroti: funzionario del governo rivoluzionario francese, fu prima giacobino per poi prendere parte alla Congiura degli Eguali dopo la controrivoluzione termidoriana. Tornato in Italia, fu tra i primi a portare avanti la lotta contro i governi sorti dalla Restaurazione. Attraverso sette e congiure riuscì a radunare attorno a sé numerosi rivoluzionari che sarebbero stati i più radicali protagonisti del periodo risorgimentale. 

Giuseppe Mazzini: seguace di Buonarroti, se ne distaccò contestando come inefficace lo strumento della setta, gettando così tramite la Giovine Italia la prima base per le moderne organizzazioni popolari. Il suo impegno rivoluzionario permise il mantenimento di una fazione democratica e repubblicana in Italia per tutto il XIX secolo, oltre che contribuire in maniera significativa alla formazione di organizzazioni operaie in tutta la Penisola. Fu tra i primi infatti a sostenere la necessità di un programma politico proprio della classe lavoratrice. Protagonista della prima fase dell’Internazionale, morirà sotto falso nome ricercato dal regime sabaudo. 

Carlo Pisacane: studente della Nunziatella, fu influenzato da Proudhon e dai pensatori progressisti napoletani. Partecipò al governo della Repubblica Romana, prima di morire nel 1857 durante una spedizione nel Meridione volta a sollevare le campagne contro la tirannide borbonica. Carlo Pisacane ebbe l’indiscusso merito di porre come centrale il tema della proprietà e del potere che essa deriva, individuando nelle masse rurali l’unico soggetto rivoluzionario in grado di portare avanti con successo la battaglia per un’Italia libera, unita e socialista. 

Giuseppe Garibaldi: già membro della Giovine Italia, assunse ad una strabiliante fama internazionale per il suo impegno rivoluzionario sulle sponde opposte dell’Atlantico. Dalle Guerre d’Indipendenza alla Repubblica Romana, passando per il Rio Grande, le sue camicie rosse divennero sinonimo di volontarismo democratico. Sceso a compromessi con la monarchia sabauda, si vide poi attaccato dall’esercito regio, che fucilò numerosi garibaldini oltre che a ferire lo stesso generale. Promotore dell’Internazionale e dell’associazionismo operaio, Giuseppe Garibaldi divenne indiscutibilmente un simbolo del campo socialista e democratico. A lui infatti si richiamarono i volontari italiani contro i golpisti di Francisco Franco e le formazioni partigiane comuniste. 

Antonio Gramsci: tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, fu tra i pochi a capire l’importanza della resistenza popolare antifascista e della necessità di condurre una politica fra le masse volta all’ottenimento dell’egemonia culturale, unico modo per strapparle alla propaganda e all’ideologia reazionaria. Perseguitato dal regime fascista, morirà in carcere lasciando una vastissima eredità letteraria ai posteri.